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Avanti un altro, anzi due. Si tratta di Hysaj e Demme, entrambi usciti malconci dalla sfida di mercoledì sera a Bergamo: per l’albanese la diagnosi post esami strumentali è di “distrazione di primo grado del muscolo gastrocnemio della gamba sinistra” (già iniziato il percorso riabilitativo), mentre al centrocampista è stata riscontrata una “elongazione al quadricipite della coscia sinistra” (sarà valutato quotidianamente).

Hysaj e Demme sono out per la Juve e si vanno ad aggiungere a Manolas (distorsione alla caviglia), Koulibaly e Ghoulam (colpiti da Covid) oltre a Mertens, costretto a prolungare di una settimana la permanenza in Belgio per sistemare la caviglia sinistra. È una situazione di emergenza continua, da cui non possono essere esclusi nemmeno Fabian Ruiz, tornato ad allenarsi il 5 febbraio dopo 23 giorni di Coronavirus, e Osimhen che con l’Atalanta ha giocato la sua prima partita da titolare dopo Bologna-Napoli dell’8 novembre

Gattuso spera almeno di avere al meglio, domani contro la Juventus, calciatori-chiave come Lozano, Insigne, Di Lorenzo e Mario Rui, spremuti fino al midollo in una stagione in cui la gara ogni tre giorni è diventata una regola fissa. Soprattutto per Napoli e Juventus, le due formazioni che si affronteranno domani sera allo stadio Maradona, a distanza di 132 giorni dalla notte del 4 ottobre e con situazioni tecniche totalmente ribaltate rispetto a quella sfida negata dall’Asl Napoli 1.

La squadra di Gattuso è in una condizione drammatica, ma solo per le assenze che aumentano di settimana in settimana e senza che i calciatori di rientro possano tornare fisicamente al top. Sono diventati pochi i disponibili e non scendono in campo nemmeno tanto sereni, con troppa pressione addosso perché sanno che l’obiettivo fissato dal presidente De Laurentiis è il ritorno in Champions attraverso il quarto posto. Impresa non impossibile, purché ci sia una rapida inversione di tendenza. Se poi la svolta arrivasse contro una big come la Juventus, allora il processo di rimonta potrebbe essere anche più rapido.

Non sarà semplice. Gattuso deve sperare che non ci siano altre defezioni, soprattutto in difesa, con Di Lorenzo, Maksimovic, Rrahmani e Mario Rui obbligati a scendere in campo per mancanza di alternative. Il trio di centrocampo dovrebbe essere composto da Elmas-Bakayoko-Zielinski, a meno che Ringhio non decida di utilizzare Lobotka in luogo dell’ex Chelsea. Lozano e Insigne dovranno stringere i denti e giocare, la stessa cosa vorrebbe fare anche Osimhen, ma bisognerà attendere oggi per capire se avrà i muscoli intorpiditi, avendo giocato 80 minuti, dopo 3 mesi dall’ultima volta da titolare.

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Ultima spiaggia per Rino Gattuso? I rumors direbbero proprio di no, che il tecnico calabrese continuerà a sedersi sulla panchina del Napoli almeno fino al termine di questa stagione. “Almeno” perché il presidente Aurelio De Laurentiis, superata la sfuriata post Verona, non è detto che non possa tornare sui suoi ultimi passi quando arriverà il 30 giugno. Ora sta guardando in maniera più oggettiva a un Napoli fortemente condizionato dalle numerose assenze che si stanno accumulando dal 13 novembre, quando Osimhen si lussò la spalla in Nazionale. Tra Covid e acciacchi vari, per il difficile match di oggi contro la Juventus, Ringhio può contare soltanto su appena sedici calciatori della rosa, tre dei quali sono portieri e due (Fabian Ruiz e lo stesso Osimhen) ancora alle prese con il recupero atletico dopo gli stop sofferti.

De Laurentiis sa che la squadra è in piena emergenza, si informa quotidianamente direttamente con Gattuso, anche perché ora ha riattivato i rapporti con l’allenatore: lo ha già fatto mercoledì sera a Bergamo, aspettandolo dopo la conferenza stampa al Gewiss Stadium, oltre a sentirlo quotidianamente con quella telefonata che qualche mese fa era diventata consuetudine. Questo riavvicinamento del presidente potrebbe servire anche a dare maggiore serenità a una squadra che, negli ultimi tempi, in campo sbaglia le cose anche più elementari, perché aggredita da una pressione che si chiama quarto posto in classifica. Mettere l’allenatore di fronte all’obbligo di evitare la sconfitta con la Juventus, che ha vinto sei delle ultime sette partite (e una di queste è stata il pareggio di martedì contro l’Inter che ha portato alla finale di Coppa Italia) con un solo gol al passivo, significherebbe averlo già esonerato. Non è così. De Laurentiis confida nelle 18 partite che al Napoli mancano al termine del campionato, perché dalla sfida di ritorno con il Granada in Europa League (il 25 febbraio allo stadio Maradona) l’organico potrebbe tornare a essere completo, per lasciar immaginare anche un filotto di vittorie come è successo di recente alla Lazio.

Oggi alle 18 il presidente sarà al suo solito posto nella tribuna dello stadio a Fuorigrotta, anche per dimostrare in maniera ulteriore il suo riavvicinamento, per dare un sostegno in più al tecnico e ai suoi calciatori: il patron confida nell’organico che ha messo in piedi, una rosa che era ancora seconda in classifica (a -3 dal Milan) quando il 16 dicembre si infortunò Dries Mertens nella sfida contro l’Inter. Il pronostico di oggi sembrerebbe essere chiuso a favore di una Juventus in piena forma e che viene a sfidare il Napoli nel suo momento più difficile, in cui è reduce dalle due sconfitte consecutive in trasferta, con il Genoa in campionato e contro l’Atalanta in Coppa. De Laurentiis non ha nessuna volontà di dare vita al ribaltone, ma se la squadra dovesse avere un pesante crollo tra stasera e domenica prossima, allora potrebbe trovarsi costretto come un anno fa a prendere un’altra strada.

L’unico gradito e disponibile al momento sembrerebbe essere Walter Mazzarri, anche se il patron ha il dubbio che il trainer toscano potrebbe non avere il tempo di addestrare la squadra con il suo 3-4-2-1, visto il calendario denso di impegni. Di Rafa Benitez manco a parlarne, né tantomeno a stagione in corso: De Laurentiis lo vorrebbe dal prossimo anno, ma nel ruolo di direttore tecnico che abbia la supervisione anche sul mercato. Sarà analizzato il comportamento in campo dei calciatori, che dovranno dimostrare concretamente di essere ancora con l’allenatore. Non tanto il risultato finale, sarà osservato soprattutto l’impegno profuso dagli azzurri, per capire se avranno ancora voglia di lottare nonostante la stanchezza accumulata (nel 2021 il Napoli ha già giocato 13 partite) e le assenze che costringono Gattuso ad avere in panchina solo quattro giocatori di movimento. Con gli uomini contati e con Osimhen, che Ringhio spera riesca a giocare la seconda gara da titolare consecutiva dopo lo stop forzato, l’allenatore si troverà quasi costretto a utilizzare di nuovo il 4-2-3-1, un modulo molto offensivo, ma l’unico utile alla bisogna: se il Napoli aspettasse la Juventus nella propria metà campo, senza disporre dei due centrali titolari Manolas e Koulibaly, la sconfitta sarebbe solo da certificare.

Ringhio anch’io, no tu no. Ma perché? Perché, no. O meglio. Perché ciascuno c’ha i suoi, di problemi (detto così: papale papale e sgrammaticato, affinché renda bene l’idea del “senza fronzoli”). Vale a dire: oneri cui fare fronte, onori da cercare di mantenere tali. E così capita che – giustamente ed inevitabilmente – Andrea Pirlo non possa concedersi troppe smancerie nei confronti dell’amico fraterno Rino Ringhio Gattuso. E capita anche che, senza troppi giri di parole (i quali peraltro risulterebbero assai poco credibili), spieghi genuinamente: «Fa parte del nostro lavoro, può capitare di essere mandati via. Può capitare all’uno o all’altro di attraversare momenti difficili, mi dispiace per la situazione di Rino, ma devo pensare ai miei problemi e a cosa devo fare io… Noi come sempre prepariamo la partita per vincere, poi può succedere di tutto».

Gattuso non la prenderà sul personale, questo è certo. Anche perché non è solo dall’amicizia ventennale che il tecnico bianconero sgombra il campo in vista di questa Napoli-Juventus, bensì di tutta una serie di elementi di potenziale distrazione. Polemiche, fatti, misfatti, ricordi, riflessioni, elucubrazioni. Gli improperi sull’asse Conte-Agnelli e Paratici-Oriali dell’altra sera? Guarda un po’, non l’hanno manco sfiorato. Lui sì, è uno che “pensa ad allenare!” (cit). E non lo sfiora neanche il paradosso legato al fatto che si giochi ora il ritorno di un’andata illo tempore rinviata a(sl) data da destinarsi causa mancata partenza degli avversari. «Non cambia niente, ci sono sempre tre punti in palio.

Adesso bisogna solo capire quando si giocherà la gara di andata. Ma per la regolarità del campionato a mio avviso non cambia nulla. Quanto accaduto ormai è acqua passata e ci siamo anche affrontati in Supercoppa. Noi pensiamo alla partita che giochiamo adesso, non a quella che dovevamo giocare prima. Queste sono solo situazioni che possono creare fastidio all’ambiente, ma noi siamo concentrati sulla gara ed è l’unica cosa che abbiamo in testa. Sarà una gara stile Supercoppa. Una gara importante per tutte e due le squadre, perché Napoli-Juve è sempre una sfida tra grandi squadre. Ci sarà tensione per l’importanza dei tre punti in palio. Noi veniamo da un buon momento, loro magari un po’ meno dopo la sconfitta dell’altra sera, però è una partita talmente importante che la posta in palio si farà sentire».

E ancora: «Noi guardiamo solo a noi stessi. Guardiamo a vincere e a fare più punti possibile, non guardiamo neanche chi ci sta dietro: solo chi ci sa davanti. Il nostro obiettivo è andare a Napoli per vincere e non per eliminare il Napoli per la corsa scudetto» Giusto due calcoli, per gradire, ma solo previa esplicita richiesta: «Per vincere lo Scudetto sicuramente ci vorranno più di 80 punti, ma probabilmente rispetto ai numeri degli altri anni basterà qualche punto in meno perché ci sono tanti impegni e tante squadre forti. E’ difficile che qualche squadra possa tenere un ritmo alto in maniera costante».

In quest’ultimo concetto c’è anche la chiave che spiega, assicura Pirlo, alcune variazioni nell’approccio e nella filosofica di gioco riscontrate contro la Roma e contro l’Inter. Una variazione sul tema particolarmente allegriana che peraltro è coincisa con il culmine di una escalation di risultati. «Abbiamo fatto un percorso in crescita: venivamo da una sconfitta contro l’Inter e dopo quella sfida la squadra ha alzato il livello. Da lì è iniziato un cammino più convincente. Però avevamo sempre detto che avevamo bisogno di tempo e di mettere a posto tutti nostri giocatori e le nostre situazioni tattiche a posto sia sul piano difensivo sia su quello offensivo. I risultati ti fanno lavorare meglio, Nella nostra filosofia di gioco non sta cambiando niente, semplicemente abbiamo deciso di affrontare Roma e Inter in maniera diversa. Sono scelte mie in base all’avversario, scelte che ci hanno dati risultati importanti. L’impostazione rimane sempre la stessa: vogliamo comandare il gioco e pressare alto, però in certe situazioni non è possibile visto che giochiamo ogni tre giorni e dunque a volte è meglio abbassarsi e far gestire agli altri il pallone in modo da preservare un po’ di energie».

Da “giochista” a “risultatista”, un po’ “allegriano” pur con una spolverata di “sarrismo”. Le partite si susseguono ai ritmi vertiginosi del calcio ai tempi del Covid e i neologismi, nel tentativo di inquadrare il credo dell’Andrea Pirlo allenatore, si sprecano.

Etichette che faticano a confinare le idee del tecnico della Juventus in ben delimitati recinti. E classificazioni, a ben vedere, forse semplicemente obsolete. Questa, almeno, l’opinione di chi il Maestro ha avuto occasione di conoscerlo da vicino. Come Antonio Filippini, suo ex compagno di squadra ai tempi del Brescia. «Nel calcio di oggi a volte hai il dominio del gioco e altre devi lasciare il pallino all’avversario: dipende da tanti fattori, ma non è realistico pensare di poter portare avanti un solo spartito – la premessa del tecnico, reduce da un’esperienza sulla panchina del Livorno -. Andrea questo concetto lo ha capito in fretta e si è subito adattato: le diverse anime della squadra sfoggiate finora testimoniano quanto stia maturando. Penso al motto di Boniperti, per il quale “vincere non è importante, ma è l’unica cosa che conta”: questo imperativo animava Pirlo per come l’ho conosciuto da giocatore e mi sembra che lo caratterizzi anche oggi da allenatore. Ci sono tante maniere per arrivare all’obiettivo e lui le sta esplorando con successo: giocare bene, per quanto mi riguarda, significa anche saper difendere bene. Sta crescendo in poco tempo e lo sta facendo con intelligenza: di ogni giocatore sfrutta le qualità in più fasi di gioco, come nel caso di Danilo nel continuo passaggio dalla difesa a tre a quella a quattro».
Un discorso sostenuto anche dall’ex bianconero Nicola Legrottaglie, che con Pirlo a Torino si è soltanto incrociato nell’estate del 2011. «Non esistono allenatori che pensano solo al gioco o allenatori che pensano solo al risultato: esistono allenatori efficaci, che non snaturano il calcio e sono consapevoli che l’obiettivo alla fine sia quello di buttare il pallone nel sacco – il pragmatico punto di vista dell’ex tecnico del Pescara -. In questo senso, nelle ultime settimane, Pirlo si sta semplicemente adattando alle condizioni dettate dal momento della stagione nel tentativo di essere più efficace possibile. E lo sta facendo molto bene. Conta il risultato, e non soltanto la Juventus. La partita contro la Roma è l’emblema di questo discorso: Andrea ha trovato la chiave per far girare la partita in proprio favore e l’ha sfruttata a piene mani».
E non crede a una radicale svolta tattica da parte del tecnico bianconero nemmeno Franco Causio. Il Barone che, pure, un netto cambio di direzione nelle ultime partite l’ha avvertito. «Ma è una questione di testa, non di campo – il pensiero del campione del mondo 1982, vincitore di sei scudetti con la Juventus -. In un ambiente abituato a vincere, dopo una sconfitta come quella contro l’Inter ci si guarda negli occhi: da quel momento, infatti, la squadra ha ripreso a galoppare, con una mentalità da provinciale e una qualità da grande. Allegrismo? Sinceramente non lo vedo, ma auguro a Pirlo di ripetere il percorso di Massimiliano per quanto ha vinto in bianconero». Chi, invece, ha visto un atteggiamento differente nell’ultimo mese è Beppe Furino. Affascinato da una mentalità reputata più vicina a quella in voga nel “suo” calcio. «Nel mio vocabolario non c’è posto per le goleade, soltanto per gli 1-0: mi piace l’impostazione che Pirlo ha dato alla squadra nelle ultime partite – approva il mediano di 534 battaglie in bianconero -. Una difesa organizzata e attenta è la base per qualunque successo, anche a costo di un gioco meno appariscente. E poi il tecnico sta lavorando bene sul gruppo: vedo una grande armonia nello spogliatoio e una grande voglia di vincere». “Giochista” o “risultatista”, l’unica cosa che conta.

I successi nascono in difesa: era il mantra di Massimiliano Allegri, che ha costruito i suoi cinque scudetti alla Juventus – mattone su mattone – prendendo meno gol di tutti, con vertici quali i soli 20 al passivo nel 2015-16. È quanto si sta ripetendo con Andrea Pirlo, dalla filosofia tattica differente rispetto a quella del livornese (almeno fino a un paio di partite fa: vedi match con la Roma), ma dagli stessi effetti pratici. I bianconeri, in 20 partite, hanno incassato 18 reti, che li rendono la difesa meno perforata della Serie A. Il deciso cambio di marcia si è registrato contro l’Inter in campionato, da quelle due reti incassate la sera del 17 gennaio e che avevano fatto sorgere qualche dubbio sull’assetto tattico juventino. Da allora sette partite e una sola rete presa, quella (indolore) di Lautaro Martinez nel 2-1 pro bianconeri nella semifinale di andata di Coppa Italia.
Al centro della difesa Pirlo aveva scelto Merih Demiral e Matthijs de Ligt, entrati in negativo nell’azione della rete nerazzurra: il primo per aver perso di vista Alexis Sanchez all’inizio della manovra, il secondo per essersi fatto prendere sul tempo dall’argentino in area. È stato il loro unico errore nell’arco dei 180’ perché, riproposti l’altra sera in coppia a Torino, sono stati semplicemente perfetti, dividendosi al meglio i compiti. De Ligt ha tolto di scena Romelu Lukaku in un duello di forza e di posizionamento, mentre Demiral ha agito come un libero vecchio maniera, andando a chiudere tutto quanto ci fosse da chiudere. Una prestazione che ha mantenuto immacolata la porta di Gigi Buffon, che dei due potrebbe essere il padre visto che, con i suoi 43 anni, pareggia la somma dei due compagni: 21 anni per l’olandese e 22 per il turco.
Un dato che indica come i due siano destinati a essere la coppa del futuro. Pirlo, quando ha potuto, si è affidato all’esperienza del 36enne Giorgio Chiellini e del 33enne Leo Bonucci, che hanno dato la prima riassestata a una difesa che aveva bisogno di recuperare fiducia dopo qualche passaggio a vuoto. Ma il tecnico ha ripetuto, fin dal primo giorno del suo avvento in bianconero, di avere in gruppo quattro centrali difensivi di assoluto affidamento. Gli occorrevano soltanto i giorni per recuperarli appieno, parlando soprattutto proprio dei due più giovani. De Ligt ha dovuto recuperare dopo l’intervento per la stabilizzazione della spalla destra, cui si era sottoposto il 15 agosto, giorno del suo compleanno. Un intervento delicato, tale da farlo rivedere in campo soltanto il 21 novembre con il Cagliari. Un guaio cui, l’8 gennaio, si era aggiunta la positività al Covid. Demiral, invece, era rimasto vittima il 12 gennaio 2020 di un grave infortunio all’Olimpico contro la Roma quando, ricadendo da un contrasto aereo, si era procurato la rottura del legamento crociato anteriore sinistro, con associata una lesione meniscale. Anche per lui un recupero lungo, fino alla maglia nuovamente ritrovata il 1° agosto proprio contro i giallorossi, all’ultima giornata dello scorso campionato. Un tipo di infortunio mai esente da strascichi, anche dopo la guarigione, come raccontato dai vari problemi muscolari poi accusati nel corso della stagione.
Anche per questo motivo Pirlo aveva preferito utilizzare il turco con gradualità, scelta che aveva fatto frettolosamente ipotizzare a qualcuno un mal di pancia di Demiral tale da chiedere la cessione a gennaio. Niente di tutto questo. Nonostante si parli di gente già esperta, il tecnico ha ben chiaro quale sia il cammino cui devono sottoporsi i giovani, tutti i giovani. Quali sono ancora De Ligt e Demiral. Si rivelano già preziosi oggi per la Juventus, potranno diventarlo ancor più nei prossimi anni. Il tempo è dalla loro parte.

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