Nicola Porro attacca il governo: ”hanno fatto errori su errori”

Stiamo vivendo una situazione in cui abbiamo accettato passivamente, perché abbiamo una paura molto forte, di vivere agli arresti domiciliari. È come se stessimo subendo una sorta di trattamento sanitario obbligatorio ma ho l’impressione che dopo due mesi di emergenza gli italiani oggi abbiano capito che i loro balletti sui balconi erano assolutamente fuori luogo». Nicola Porro, com’è sua abitudine, non le manda a dire. Proprio come fa in Tv quando conduce Quarta repubblica, che va in onda il lunedì in prima serata su Rete 4.

La parziale riapertura da parte del Governo dopo settimane di isolamento forzato non lo convince: «Secondo me avrebbero dovuto chiudere tutto con maggiore buon senso prima, in maniera da non rendere così traumatico il lockdown: siamo il Paese che ha scelto l’estremismo. In Cina, al di là della provincia di Wuhan che può essere considerata la nostra Bergamo, o Brescia o Piacenza, c’erano zone del Paese dove tutto era perfettamente funzionante anche quando l’emergenza era nel suo momento più drammatico. Hanno usato misure di distanziamento sociale, le mascherine obbligatorie, ovviamente. Il nostro problema da risolvere, oggi, è quello di rimediare ad un’esagerazione».

Il vicedirettore del quotidiano Il Giornale è stato contagiato dal coronavirus a marzo, ma ha sempre aggiornato sulle sue condizioni gli spettatori di Rete 4 intervenendo a Stasera Italia, da Barbara Palombelli, oltre ad aver mantenuto un filo diretto con i suoi seguaci sui social network. Oggi è definitivamente guarito dalla malattia, che pure ha avuto un decorso non facile. «Mia moglie e i miei due figli», dice, «sono ancora all’estero, dove eravamo tutti prima che io scoprissi di aver contratto il virus. Loro hanno fatto il test sierologico e sia moglie che i miei due figli sono risultati positivi alla malattia, ma nessuno di loro ha avuto sintomi. Anche questo esempio personale dimostra che sarebbe stato più opportuno trovare subito i focolai, che sono stati individuati male e tardi. E le persone contagiate ancora non vengono scoperte. Adesso scompariranno i contagi perché sta scomparendo il virus, non certo per la nostra capacità di isolarlo».

Secondo lei il rischio di una nuova ondata di contagi è reale? «Non sono un virologo e non so rispondere a questa domanda. Ma so come rispondono i virologi, dei quali esistono due categorie: quelli che vanno in televisione dicono che ci sarà una seconda ondata, quelli che al contrario non appaiono e sono molto sul pezzo, stando negli ospedali, sostengono che non ci sarà. Personalmente sono più portato a credere a quelli che non vanno in televisione. Non mi stupirei che alcuni degli altri, del “presenzialisti” saranno candidati alle prossime elezioni politiche». Da esperto della materia, dato che nei mesi scorsi ha pubblicato il libro Le tasse invisibili, la situazione economica la preoccupa o crede che si troverà una soluzione per imprese e professionisti? «Oggi viviamo una situazione drammatica.

Perché ci sono milioni di persone che vivono di assistenza pubblica e ci sono dei conti pubblici che in un’epoca normale sarebbero sostanzialmente da fallimento. La situazione è comune a tutti gli stati d’Europa, che sono in condizioni peggiori rispetto a prima, e solo per questo non siamo falliti. La mia preoccupazione non è solo per le piccole e medie imprese o per i professionisti, ma anche per tutti i settori cosiddetti “grigi”, freelance e stagionali, poco controllabili, che stanno soffrendo più degli altri. Le statistiche non tengono conto di queste sofferenze. Dunque, o ci mettiamo subito a recuperare il terreno perduto, almeno una parte, o c’è il rischio che l’Italia diventi come l’Argentina».

I professionisti e i titolari di partita Iva, intanto hanno beneficiato del bonus da 600 euro: trova che sia una misura sufficiente? «Si è lavorato molto sull’annuncio e troppo poco sull’applicazione pratica. I 600 euro sono arrivati e pare che ne arriveranno anche 800, però rappresentano solo un tampone. Ovviamente si tratta di una misura apprezzabile, perché non si può criticare tutto. Dare a cinque milioni di italiani dei soldi sul proprio conto corrente non è una cosa banale, anche se si poteva realizzare in modo molto più semplice come hanno fatto tanti altri paesi. Ma questo è un altro tema, perché l’invadenza della burocrazia è evidente.

Per contro, ci sono tante altre misure annunciate che stanno funzionando molto male, o non stanno funzionando affatto. Penso alla cassa integrazione in deroga: è stata ben pensata, perché è stata ampliata alle piccole imprese. Ma nella realizzazione pratica è un pasticcio perché finora nessuno ha ottenuto un euro. Altrettanto mi preoccupano questi decreti mirabolanti di liquidità da 700 miliardi che alla fine secondo me si riveleranno un flop totale, sia per le piccole imprese che possono chiedere fino a 25mila euro di prestito, sia per le grandi, che hanno bisogno di maggiori liquidità. A chi sta male serve una medicina, non il veleno per morire, inteso come prestiti da restituire».

Alla ripresa della sua trasmissione si è trovato a fare i conti con uno studio senza pubblico e molti ospiti in collegamento grazie alle videochiamate. Come affronta la diretta in una situazione di emergenza? «Io sono uno di quelli che non ama la retorica. Sono stato in Tv anche durante i primi giorni della malattia, che fa parte della vita. In qualche modo si dovrà pur morire. Ovvio, meglio tardi che prima. Ma quante persone conosciamo che purtroppo non ci sono più a causa di malattie che vanno molto meno di moda del coronavirus? Io cerco di fare Tv nel modo più normale possibile, anche se poi mi accorgo settimanalmente che l’organizzazione della puntata di Quarta repubblica, senza contatto fisico e con le teleconferenze, è molto complicata. Mi auguro che in futuro torneremo ai vecchi schemi, non voglio immaginare che la Tv in generale, anche quando l’emergenza sarà terminata, continuerà a vedere studi vuoti. Personalmente, se così fosse, lascerei. Non voglio vivere in un mondo in cui si è obbligati a mantenere un metro di distanza dagli altri. Non è la mia civiltà».