Diamanti, truffa e frode a imprenditore da 350 mila euro: tutti i dettagli

Tantissimi risparmiatori italiani stanno affrontando una perdita di denaro altissima, per molti questo dovrà essere investimento del secolo. Attualmente continuano ad arrivare denunce su denunce, l’ultima risale ad un imprenditore perso € 350.000. Le truffe sui diamanti continuano in tutta Italia. Molte sono le truffe legate alla vendita di preziosi a prezzi gonfiati rispetto al valore reale.

L’imprenditore era già da molti anni correntista nel Istituto bancario, si era fidato ciecamente dei dettagli e le assicurazioni del direttore della filiale ma anche di due funzionari gli stessi che lo hanno sollecitato è convinto a spostare gran parte del patrimonio verso i diamanti proposti dalla società IDB, la quale ha sempre definito un investimento sicuro e con un valore destinato ad aumentare.

Diamanti, mercato in attivo per chi compra e per chi vende

Nel 1947, una giovane copywriter di Philadephia dell’agenzia N.W. Ayer & Son deve accontentare un cliente importante e difficile: la De Beers. Con un colpo di genio, crea uno slogan che non è mai tramontato: «Un diamante è per sempre», per unire in modo indissolubile la gemma con l’amore e il matrimonio. Ma un diamante è davvero per sempre? A leggere le cronache di questi ultimi mesi sembrerebbe di no, anzi! C’è chi parla di “truffa” dei diamanti, chi invoca una class action, le associazioni dei consumatori scatenate, le Autorità che intervengono, la Banca d’Italia, insomma un polverone che non accenna a depositarsi e che ha confuso tantissimo le idee.

Che pure, all’inizio, erano ben chiare! Ma che cosa è successo, dunque? Il diamante, si sa, è un fantastico regalo per una moglie o una fidanzata: si va da un gioielliere più o meno amico, lo si sceglie, si sceglie una montatura d’oro (o come la si vuole), una bella scatolina blu di velluto e voilà, lei è conquistata per sempre. Ma in realtà il diamante non è solo questo. È anche uno di quelli che vengono chiamati “beni rifugio”, come possono essere il mattone (le case), l’oro o altri beni il cui valore si presume sia destinato ad aumentare nel tempo. Ci sono dunque dei risparmi da investire e fra le altre opzioni si può scegliere, dopo aver esaminato BOT, CCT, azioni, ecc, di destinare una parte di questo investimento proprio al mondo dei diamanti.

E non occorrono certo dei capitali berlusconiani, si possono acquistare 10, 20mila euro di diamanti e conservarli in attesa che il loro valore cresca. Perché in questi anni il valore è cresciuto mediamente dal 2 al 4.5 per cento ed è destinato probabilmente a crescere ulteriormente: da una parte i diamanti non sono infiniti e dall’altra nel giro di pochi decenni mercati enormi come la Cina e l’India hanno cominciato ad assorbirli in modo massiccio: di questo passo la domanda potrebbe finire per superare l’offerta, e su questo non ci sono dubbi.

Dov’è il trucco? O meglio, che cosa non funziona perfettamente in questo ragionamento? Un piccolo particolare: se comprate un chilo d’oro, costa tot. Se ne comprate due costa due volte tanto. Ma coi diamanti non funziona in questo modo: i diamanti hanno una quotazione ma non un prezzo fisso, perché le variabili del costo del diamante sono tantissime: il peso (misurato in carati, un quinto di grammo), il taglio, il colore, la purezza, tanto per citare le più importanti. Fino a un anno fa si poteva dunque andare in alcune banche (Unicredit, Banco Popolare, Intesa San Paolo e Monte dei Paschi) e acquistare diamanti da investimento, su proposta dei consulenti bancari che avevano a loro volta stretto un accordo con le due maggiori società che operano in questo settore, la IDB – Intermarket Diamond Business e la DPI – Diamond Private Investement. La banca faceva dunque da tramite di un acquisto (traendone una ovvia percentuale) e fungeva da “sportello al pubblico”.

I diamanti in questione non erano semplici gemme che si possono montare per farci un anello: venivano consegnati in una busta sigillata con un preciso codice di identificazione inciso sulla pietra. L’acquisto comprendeva anche diversi servizi: un’assicurazione “all Riks”, l’eventuale servizio di custodia assicurata del bene, un’articolata serie di servizi di customer care, nonché la possibilità di poter rivendere i diamanti, non alla società che li aveva venduti ma ad altri acquirenti all’interno dello stesso circuito (salvo pagare un commissione). Nel corso di diversi anni di mercato, gli investitori hanno tratto vantaggio dal loro investimento in modo costante, a patto di comprendere che il diamante acquista valore nel corso del tempo (parliamo di anni, meglio ancora di decenni, non a caso “un diamante è per sempre”). Poi è scoppiata la bufera, grazie a una trasmissione televisiva che ha puntato l’indice contro questo mercato.

L’accusa è semplice: chi compra diamanti in banca li paga un prezzo «più alto del dovuto» e quindi, in qualche modo, le banche si sono prestate a una sorta di “truffa” ai danni dei piccoli e medi risparmiatori. Teniamo presente che, nel momento in cui scoppia la bufera, le banche sono nel mirino dell’opinione pubblica: il caso Etruria, i crack di alcuni istituti, i risvolti politici, tutto contribuisce alla demonizzazione del sistema bancario. Ma il prezzo proposto era davvero più alto? E più alto rispetto a cosa? È qui il nodo della vicenda: in realtà i diamanti sono stati venduti a un prezzo in linea con quello praticato dalle gioiellerie di prima fascia, se poi si vuole accertare quale sia il valore attuale di un diamante, occorre prima decidere se per valore si debba intendere il prezzo al quale si riesce a venderlo in un certo momento o il prezzo che verrebbe richiesto per acquistarne uno, sul mercato, con identiche caratteristiche.

I due prezzi sono ovviamente molto distanti l’uno dall’altro e questo succede perché il mercato del diamante non è assistito da fixing dei prezzi universalmente riconosciuti, né è un mercato regolamentato. Facciamo un esempio: se acquistiamo un’auto nuova e la paghiamo 20mila euro e subito dopo cerchiamo di rivenderla, è evidente che qualcosa perderemo. Certo che se prendiamo il nostro diamante, spinti dal panico, andiamo dal gioielliere sotto casa e gli diciamo che lo abbiamo pagato 10mia euro e che vogliamo rivenderlo, quello ce ne offrirà, se va bene, la metà.

Ma queste considerazioni (a volte perfino banali) non sono servite e sul mercato si è abbattuto uno tzunami vero e proprio. Le banche si sono chiamate fuori scordando ovviamente le laute percentuali incassate negli anni), è intervenuta l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato che ha sanzionato sia le società che le banche (esclusivamente per motivi di insufficiente trasparenza, non certo per “truffa”), le associazioni dei consumatori si sono buttate a capofitto sulla questione e sono partiti reclami, proteste, azioni di ogni genere che hanno portato inevitabilmente alla sospensione del commercio dei diamanti nelle banche. E a poco sono serviti gli sforzi delle società che li commerciano di intavolare con interlocutori diversi trattative per rendere questo mercato maggiormente regolamentato.

Tutto congelato, le banche devono prendere decisioni, i consumatori protestano, i diamanti restano nelle casseforti. Tanto rumore per nulla? No, questo scossone è certamente servito per costringere società e banche a una maggiore trasparenza quando propongono (o ricominceranno a proporre) gli investimenti in diamanti e a sollevare la questione di fondo (tuttora irrisolta): chi stabilisce il prezzo di un diamante? Il gioielliere sotto casa? Un indice internazionale fissato in dollari e senza Iva (quando invece i diamanti vanno venduti in euro e con Iva)? I mercanti di Amsterdam? Prima che la vicenda si sblocchi, come si sbloccherà, una certezza però l’abbiamo: il mercato dei diamanti sarà sempre in attivo, per chi compra e per chi vende. E, passato lo tsunami, le regole saranno più chiare per tutti.

Invece, si è scoperto in seguito che il valore effettivo dei diamanti era notevolmente inferiore al prezzo di mercato.

Negli ultimi anni, soprattutto in questo periodo di crisi, per molti è diventato forte il desiderio di conoscere qualcosa di più su fonti di investimento alternative al classico “mattone”. Molte banche e promotori finanziari stanno investendo molte risorse per invogliare le persone ad investire sui diamanti e sempre più spesso mi soffermo a parlare con clienti che vogliono capire se l’investimento proposto sia o meno un “AFFARE”.

Quindi, ispirato da un articolo trovato su una rivista di settore, ho deciso di riportarvi la mia esperienza da addetto ai lavori, poiché mi sono accorto che quando si parla di diamanti da investimento ci sono molti dubbi e soprattutto scarsa informazione. In questo articolo non mi dilungherò nel descrivere le proprietà del diamante o quali caratteristiche deve avere un diamante da investimento, argomento già trattato.

“I DIAMANTI: IL DONO PIU’ PREZIOSO DELLA NATURA”, ma cercherò di suggerirvi alcuni aspetti importanti da prendere in considerazione quando si pensa di investire in diamanti.

PER CHI HA SOLDI ED È IN CERCA DI UN INVESTIMENTO DA FAR FRUTTARE IL DIAMANTE SEMBRA LA SOLUZIONE GIUSTA. SARÀ COSÌ? PERCHÈ NON COMPRARLO IN GIOIELLERIA? E IL DIAMANTE SINTETICO COME CAMBIERÀ IL MERCATO?

Perché comprare diamanti?

Il prezzo dei Mercati azionari incerti e talvolta turbolenti, crisi di fiducia nell’immobiliare, asset con scarsi rendimenti o troppi rischi: in cosa può investire, allora, chi ha qualche risparmio da far fruttare? La risposta, ad oggi, sembra pressoché univoca: il diamante ormai è considerato il “mattone” del Terzo Millennio. Rispetto ad altri beni, presenta una serie di vantaggi indubbia: indistruttibilità, rendimenti costanti, nessuna tassa sul reddito, sul capitale o di successione (soltanto l’Iva), vantaggi fiscali; insomma un “bene rifugio” di tutto rispetto. Ma a fronte di tutti questi pro, quali sono i contro? Districarsi nel settore dei diamanti da investimento richiede dunque la necessità di fornire una risposta ad una lunga serie di domande.

Ad esempio : • A chi conviene investire in diamanti, mercato che fino a poco tempo era riservato ad una nicchia e oggi invece si allarga ad un numero sempre maggiore di risparmiatori? • Dove si acquistano i diamanti “da investimento”? • È il momento giusto per investire in diamanti? • Quanto costa un diamante? • Quali sono gli aspetti da considerare prima di acquistare una pietra preziosa? • Come si investe in diamanti? • Come si sceglie un diamante da investimento? • Quali criteri di scelta si devono rispettare? • Quanto posso investire? • Quali sono i rischi dell’investimento sui diamanti? • Una volta in nostro possesso, la rivendita per il recupero dell’investimento è garantita e, se sì, in che modo? • E quanto è inquinato il settore dalla diffusione sempre più massiccia di diamanti sintetici, quelli prodotti da un processo tecnologico e non geologico? ….

Quando si parla di diamanti da investimento, la prima cosa che bisogna sapere è che non si tratta di un investimento di tipo speculativo; se acquisto un diamante oggi, non posso illudermi di poter realizzare un guadagno o di recuperare lo stesso importo nel breve termine; solo il lungo periodo mi garantisce di tutelare il mio investimento. Qualsiasi tipo di investimento non ti può garantire con certezza un guadagno, quando si investe in diamanti si è soliti parlare di garanzia perché il diamante, secondo un andamento storico che va dagli anni ’80 sino ai giorni nostri, nel lungo termine non ha perso mai il suo valore e non ha subito nessuna inflazione monetaria e finanziaria, né tantomeno ha risentito di cambiamenti politici, calamità naturali ed umane.

Le quotazioni dei diamanti sono destinate a crescere continuamente oltre l’inflazione e la svalutazione della moneta, perché c’è sempre più richiesta da nuovi mercati in via di sviluppo, ma una disponibilità sempre minore. Oltre al suo rendimento “garantito” nel tempo, altri aspetti importanti ci possono invogliare a preferire un investimento in diamanti rispetto ad altri: • la liquidità garantita: a livello mondiale e in qualsiasi contesto politico c’è sempre richiesta di diamanti • la facile trasportabilità: in piccole dimensioni si possono concentrare grandi capitali • la durevolezza: un diamante non ha bisogno di manutenzione, non deve per forza essere tenuto in cassetta di sicurezza ma può essere indossato senza diminuire il suo valore • la non tassabilità: il diamante è un bene esente da tasse, non è soggetto a tassazione sulle plusvalenze o sulla successione ereditaria, non ha nessuna commissione di ingresso né di uscita e non ha nessuna spesa annuale • la bellezza: impagabile è l’emozione di possedere una cosa bella, preziosa, unica e sempre di moda.

A chi conviene investire in diamanti?

Il mercato dei diamanti da investimento fino a poco tempo era riservato ad una nicchia, oggi invece si allarga prepotentemente tra i risparmiatori: nel 2015 il valore del mercato dei diamanti in Italia è cresciuto del 20%, passando da 190 a 230 milioni di euro (secondo stime riferite da Intermarket Diamond Business all’Adnkronos). Rispetto al 2013, il picco è addirittura del +78% (128 milioni). Si allarga il target degli investitori: il mercato dei diamanti diventa sempre più democratico, essendo un investimento possibile a partire da poche migliaia di euro, cifre che non sono tassate né all’acquisto (Iva a parte) né alla rivendita.

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Dove si acquistano i diamanti “da investimento”?

I più risponderanno “il diamante da investimento si acquista in banca”. È un fenomeno commerciale tutto italiano che si svolge nelle banche da oltre 20 anni. Esse si rivolgono ai propri correntisti inducendoli a credere che esistano particolari diamanti che si rivalutano indipendentemente dalle variazioni del cambio €/$ e delle quotazioni del listino “Rapaport” (il Rapaport Diamond Report è il listino di riferimento per i diamanti). Grazie a numerosi articoli di stampa “compiacenti” e ad inserzioni pubblicitarie “ambigue”, le banche dichiarano che questi diamanti NON sono venduti nelle gioiellerie. In tutti gli istituti bancari sono soliti usare come listino di riferimento quello de “Il Sole 24 Ore”, dove vengono indicati i prezzi come se fossero “quotazioni”; questi sono uguali in tutte le banche, alimentando nel correntista quel senso di fiducia di avere scoperto le vere quotazioni del diamante da Investimento. La banca, in Italia, si procura i diamanti attraverso società intermediarie, come ad esempio Diamond Private Investment. Il servizio è attivo attualmente in circa 22mila sportelli bancari presso i quali l’investimento medio sui diamanti è di 20mila euro

 Il canale bancario è relativamente nuovo a questo tipo di investimento, mentre più antico e consolidato è il mercato degli operatori al dettaglio, costellato da professionisti che offrono al consumatore pietre certificate di carature e qualità diversificate. Ovviamente i diamanti acquistati in banca non sono diversi da quelli che puoi acquistare in gioielleria, anzi le operazioni sul diamante perseguite dal ramo finanziario si configurano più che altro come un tentativo di sovrapporsi alla distribuzione commerciale tradizionale e non sempre sono accompagnate dalla stessa professionalità. Volete un diamante? Un gioielliere onesto e competente è quasi sempre un’opzione più conveniente di una banca. Almeno le proprietà estetiche e gemmologiche delle pietre vi verranno illustrate da un professionista responsabile che ci mette la faccia.

Quanto costa un diamante?

Qui si entra in un campo minato: come si determinano le quotazioni e i prezzi? Non esiste infatti una fonte universale: le banche fanno riferimento alla quotazione trimestrale in euro riportata sul quotidiano “Il Sole 24 Ore” (listino creato da le società di investimento inserito sul quotidiano come inserzione pubblicitaria); invece il canale commerciale tiene conto dei valori pubblicati con cadenza settimanale in dollari sul listino Rapaport, il quale riporta le quotazioni rilevate alla borsa di New York. Esiste anche un listino meno famoso il DIAMOND RETAIL BENCHMARK (DRB), che stabilisce un prezzo di riferimento del diamante al consumatore al netto dell’iva; questa lista è redatta su dati di mercato oggettivi, trasparenti e controllati da rappresentanti di produttori, commercianti, negozianti e consumatori. Sia il Rapaport che il Diamond Retail Benchmark non rappresentano un listino ufficiale di vendita (come invece esiste per l’oro), piuttosto una guida per determinare i prezzi che subiscono l’influenza di molte altre variabili. È chiaro fin da subito che le banche usano un listino legato al mondo della finanza dove tra commissioni e competenze, il prezzo può aumentare di molto rispetto alle quotazioni che si trovano in gioielleria, molto più vicine al valore commerciale del diamante.

De Beers dalle pompe ai carati.

1871, Sudafrica: inizia la prima grande corsa ai diamanti e un giovane inglese di appena 18 anni, trasferitosi con la famiglia in Africa l’anno prima, si mette a vendere pompe d’acqua ai minatori, euforici per il ritrovamento di un diamante da 83,5 carati nella miniera a pozzo di Kimberly. L’incasso è tale da consentire all’intraprendente Cecil De Beers la creazione di una piccola impresa mineraria, la prima in assoluto. Nel giro di 18 anni la sua compagnia si espande e De Beers firma un contratto con una società londinese che gli garantisce l’acquisto periodico di un certo numero di diamanti a un prezzo pattuito. Cecil muore nel 1902 e lascia una società che detiene il 100 per cento della produzione sudafricana e il 90 per cento della produzione mondiale. Poi, piano piano, il business senza mai passare del tutto di mano, si estende ad altre società anche perché nel frattempo giacimenti di diamanti vengono trovati in altre parti del mondo, non solo Sudafrica ma anche Botswana, Namibia e Tanziania. Poi arrivano i diamanti canadesi, quelli indiani e infine la Russia entra in questo business con le sue miniere. Una storia affascinante, contrassegnata da ritrovamenti eccezionali, ognuno dei quali è oggi una vera leggenda, dal Golden Giubilee (545 carati), che fa parte dei gioielli reali della Tahilandia), al Cullinan I (530 carati) incastonato scettro reale britannico, dall’Incomparable (407 carati), trovato da una bambina nella discarica di una miniera, per arrivare a quelli più famosi, il Tiffany Giallo (128 carati), indossato da Audrey Hepburn per la presentazione del film “Colazione da Tiffany”, la Stella del Sud (128 carati), trovato da una schiava brasiliana lungo un fiume e ora di proprietà Cartier, il Koh-I-Noor (105 carati), incastonato su una delle corone britanniche, il “maledetto” Orlov Nero, detto anche “Occhio di Brahma” che avrebbe portato disgrazie immense ai suoi proprietari… Diamanti incolori, diamanti gialli, diamanti rosa, diamanti neri, diamanti rossi: i “mi – gliori amici delle ragazze” (così cantava Marylin Monroe in un film) hanno da sempre popolato i sogni di tutte le donne del mondo, i Romani ne avevano scoperto l’incredibile durezza e li usavano per tagliare, i Cinesi li usavano come talismani per allontanare il male. Più banalmente, la parola diamante viene dal greco “damas”, indomabile e il primo a farne menzione nel mondo occidentale è lo storico Plinio il Vecchio nel primo secolo dopo Cristo, che lo definisce la pietra più dura e più preziosa del mondo, così come 500 anni prima esso compare negli scritti buddisti in sanscrito, ma solo nel 1813 un fisico, Humphrey Davy, grazie a un esperimento che concentrava con una lente i raggi del sole di un diamante grezzo causandone la combustione, ne dimostrò la sua composizione chimica di carbonio che, a pressioni altissime nel sottosuolo, diversi milioni di anni fa aveva creato la pietra più dura mai esistita in natura. [/read]