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Gerry Scotti, l’11 ottobre conduce (anche in tv) un evento unico

A19 anni, nel 1975, Gerry Scotti frequentava il primo anno di Giurisprudenza, amava la musica e ascoltava la radio. Sognava, come tanti ragazzi, di entrare in uno studio radiofonico, conoscere i suoi beniamini, scegliere ‘ da trasmettere.

Ora è proprio lui a presentare “I love my radio”, l’evento che celebra i 45 anni delle radio italiane, trasmesso la sera dell’11 ottobre dalle più importanti emittenti sui loro canali audio, tv e social, saranno tanti cantanti e personaggi “radiofonici” come Arbore,

Amadeus, Carlo Conti, Fiorello e Linus.

Gerry, lei quanto ama la radio?

«La metto al primo posto delle mie passioni lavorative. Il Gerry Scotti che entra nelle vostre case ogni giorno l’avete conosciuto perché la radio non poteva più contenerlo».

Tutto è cominciato quando…

«Ero uno studentello e andavo a catalogare i dischi in una radio di periferia, Hinterland Radio Milano 2.1 disc jockey facevano i programmi e lasciavano tutto in disordine. Una mattina alle 7 chi doveva andare in onda non si presenta D padrone della radio mi dice: “Tu sei quello che ha fatto il Classico? Saprai parlare dentro un microfono!”.

Non ho più smesso per vent’anni».

Chi era all’epoca il suo idolo radiofonico?

«Herbert Pagani, su Radio Monte Carlo: è stato un artista, un paroliere, un cantante. E poi Corrado con “La Corrida” e Arbore e Boncompagni che hanno segnato il solco del “sacro cazzeggio”».

Che fascino aveva la radio per un ragazzo degli Anni 70?

«Chi faceva la radio era un “figo” incredibile, più di un calciatore. Quando ero a Radio Milano International in ogni ristorante, negozio, discoteca dove entravo, so

lo dicendo “Buongiorno!” mi riconoscevano dalla voce. È stato il lasciapassare per la notorietà e per il benessere».

Bei guadagni?

«La prima “marchetta” (pagamento dei contributi, ndr) all’Enpals mi fu versata da Radio Milano International il 1° giugno del 1978, dopo due anni e mezzo! Guadagnavo 500 mila lire al mese, che non erano male».

Ed è diventato un lavoro.

«Quando Claudio Cecchetto decise di fare Radio Deejay mi disse: “Hai giocato per cinque, sei anni, vuoi farlo diventare un lavoro?”. Ho lasciato l’agenzia pubblicitaria dove lavoravo e mia mamma non mi ha salutato per sei mesi».

Che cosa le ha insegnato la radio?

«A non aver paura della diretta, una brutta bestia In radio impari cosa fare se c’è un intoppo o un imprevisto».

Ora quando mette piede in uno studio radiofonico cosa prova?

«Mi viene in mente Renato Zero che canta “I migliori anni della nostra vita”…».

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