Fausto Brizzi rompe il silenzio: mi sono rifugiato in 15 case sparse in tutta Italia

Ha fatto il botto Verissimo sabato scorso: quasi 3 milioni di spettatori e il 20% di share. Silvia Toffanin, la conduttrice, aveva infatti in studio Fausto Brizzi, il regista finito nell’occhio del ciclone per le accuse di molestie, partite da testimonianze anonime raccolte da le Iene, e poi finite nel nulla. Nel senso che i giudici hanno deciso di archiviare l’inchiesta perché il reato non sussisteva. Intanto però Brizzi era stato rovinato mediaticamente, aveva avuto problemi in famiglia e nessuno voleva più farlo lavorare.

Sabato ha così deciso dirompere il silenzio, dietro il quale si era trincerato per quasi un anno. «Bisogna sempre e comunque mantenere l’ironia perché ti salva. Ma alla fine un calcio nel posteriore aiuta a resettare la propria vita in meglio, a guardare meno volte il telefonino e a fare in modo che le persone a cui vuoi bene, stiano bene », ha raccontato il regista tornato ora al cinema col suo nuovo film «Modalità aereo». Una pellicola dai tratti esilaranti ma anche autobiografici e profondi: «È stato un anno complicato, in cui il mio obiettivo era trovare l’umore giusto per scrivere un film divertente e questo lo era. Quando Paolo Ruffini me l’ha portato ho capito che era terapeutico: era la risposta pop a tutto quello che mi stava succedendo. E il lavoro è stato una cura ». «È stato un periodo un po’ rocambolesco in cui sfuggivo ai giornalisti e in cui molte persone, che pensavo semplici conoscenti, invece mi hanno dato le chiavi della loro casa in caso di emergenza. Giravocon le chiavi di una quindicina di abitazioni sparse in tutta Italia – ha rivelato Brizzi – anche perché i miei amici mi volevano vedere in casa».

Tra queste persone troviamo sicuramente Ruffini,amico di vecchia data e protagonista del suo ultimo film: «Paolo è stata una delle persone che più mi è stata vicina in quest’ultimo periodo, con mia madre, Claudia, gli amici e la mia bimba di tre anni». Il regista romano torna anche su una frase detta qualche tempo fa, secondo cui in Italia un’accusa è già di per sè una condanna: «Questo è un malessere diffuso nel nostro Paese per cui sembra che la gente non voglia vincere qualcosa o avere una fortuna, ma vedere una sfortuna degli altri. Basta leggere i giornali per vedere che sono solo le notizie tragiche che ci interessano: quelle buone sono relegate in un trafiletto. Se una persona viene accusata di una cosa gli viene data una certa rilevanza, se poi la persona viene assolta gliene viene data un’altra ».