Giuseppe Balboni trovato morto in un pozzo, amico minorenne confessa l’omicidio

È stato cercato più di una settimana, tutti erano convinti il ragazzo era solamente in fuga, come capita a tanti adolescenti in un periodo di ribellione. I soccorritori insieme ai vigili del fuoco e carabinieri erano intenti a setacciare le campagne di Castello di Serravalle, tra le province di Bologna e Modena, i suoi parenti erano intenti a diffondere appelli angosciati, purtroppo la vita di Giuseppe Balboni, un ragazzo di appena 16 anni, si era già conclusa in un buco nero.

Si un buco nero, ossia un pozzo artigianale profondo 3 m, di quelli che si usavano una volta in campagna per raccogliere l’acqua, però questo pozzo, si trovava nel cortile di una villetta a due piani.

La casa dell’amico diciassettenne, quell’amico con il quale aveva litigato molte volte, lì, dove lunedì mattina è entrato, e non è più uscito. Infatti, dentro quella villetta in quel pozzo che i carabinieri lo hanno trovato.

Il ragazzo era tutto rannicchiato con una pallottola piantata al torace con addosso gli stessi indumenti che aveva il giorno della scomparsa dal suo paesino di Ciano di Zocca, distante appena 10 km.

Gli ha sparato un solo colpo mortale con la pistola che il padre deteneva regolarmente in casa. Giuseppe era un ragazzino introverso e irrequieto, come il coetaneo. Avrebbero dovuto chiarirsi dopo l’ennesima lite ma l’altro ha aspettato che i genitori andassero al lavoro prima di riceverlo, poi ha preso l’arma e ha fatto fuoco nel cortile di casa. Subito dopo ha trascinato il corpo e lo ha gettato nel pozzo. Proprio a una quarantina di metri dalla villetta, in uno stradella in salita su per i boschi, sabato i carabinieri avevano trovato il motorino di Giuseppe. Abbandonato e coperto maldestramente con delle foglie. Il primo inquietante segnale, il prologo di una storia che si fa fatica a comprendere. Come il movente ancora tutto da verificare. I carabinieri avevano sospettato del diciassettenne sin dai primissimi giorni, anche se durante le ricerche, quando era stato sentito come tanti altri amici, aveva tentato di allontanare i sospetti, sostenendo di non aver visto Giuseppe.

Ieri, nel tardo pomeriggio il giovane è stato portato in caserma: è cominciato un interrogatorio più serrato ma non c’è stato bisogno d’insistere tanto. Messo davanti a indizi e incongruenze della sua versione è crollato e ha confessato in lacrime: «Sono stato io, lui ce l’aveva con me, ho avuto paura e ho preso la pistola», ha detto prima di essere portato al centro di prima accoglienza del carcere minorile. Il delitto potrebbe essere dunque il tragico epilogo di banali litigi, rancori e ruggini tra adolescenti. Questo almeno avrebbe detto il 17enne ai carabinieri prima che il procuratore per i minorenni Silvia Marzocchi emettesse il decreto di fermo per omicidio volontario. Un movente ancora tutto da verificate. Per capire, per esempio, se le voci di presunti «ricatti», di giri di piccolo spaccio, siano veri o solo un contorno alimentato dalle voci di paese. Gli investigatori hanno trovato la pistola usata per il delitto e chiuso il caso con la confessione del giovane. Restano i dettagli di una vicenda iniziata lunedì della scorsa settimana quando Giuseppe è uscito di casa molto presto con il suo scooter. Il padre lo aspettava a casa, l’avrebbe dovuto accompagnare a Bologna, alla «Aldini Valeriani», per il primo giorno di scuola. Ma non è mai tornato a casa. La denuncia è arrivata tre giorni dopo, quando i dubbi sono diventate paure e la tragedia si era già consumata. Ieri gli amici si sono radunati davanti alla villetta dove abitava Beppe, come lo chiamavano tutti. Hanno voluto portare anche dei fiori. «Quello era un tipo da cui stare alla larga, ci aveva già litigato questa estate» dice qualcuno. L’ex fidanzata ha affidato ai social una straziante lettera di addio: «Ti hanno ucciso per niente, non ti conoscevano, ma si sono permessi di toglierti la vita senza nemmeno sapere che tu amavi… Avrei voluto chiederti di sposarmi, di avere una famiglia, ma non potrò più».