Tartaruga morta dentro la vagina: scoperta shock in ospedale

Si è presentata in ospedale con dolori lancinanti al basso ventre che le impedivano persino di muoversi, e i medici dopo una radiografia hanno diagnosticato una grave infezione dovuta alla presenza di una carcassa di tartaruga morta nella vagina. Protagonista dell’incredibile vicenda una ragazza inglese di 26 anni che vive ad Arona, a sud di Tenerife, in Spagna.

Ha dichiarato di non avere idea di come l’animale possa essere entrato nel suo corpo, e non ha voluto presentare una formale denuncia contro ignoti. Tuttavia le autorità locali, allertate dai medici dell’ospedale, hanno avviato autonomamente un’inchiesta con l’ipotesi di violenza sessuale.

L’abuso sessuale subito in età adulta è un fenomeno che interessa entrambi i sessi, con risultati sia eguali che dipendenti dalla variabile di genere. Analizzando l’entità del fenomeno – spesso sottostimato, soprattutto a livello maschile – e le importanti conseguenze derivanti sia in termini di quantità che qualità di vita,il contributo in oggetto si soffermerà anche su aspetti peculiari che riguardano le “vittime per procura” e la tendenza a porsi in condizioni di rischio perpetuando il trauma. Infine, verranno analizzati alcuni elementi di terapia rispetto alle attuali conoscenze ed alle prove di efficacia esistenti.

La violenza sessuale è – secondo la definizione del codice penale italiano – la costrizione mediante violenza o minaccia a compiere o subire atti sessuali. In proposito si parla, comunemente, anche di stupro o (nel caso abbia luogo la congiunzione carnale) di violenza carnale. Lo stupro è considerato un crimine particolarmente grave in buona parte degli ordinamenti giudiziari e presenta specifiche difficoltà per quanto riguarda la sua repressione penale. Spesso è considerato come strumento di “guerra psicologica” da attuare sulle popolazioni dei territori occupati e, pertanto, viene considerato – in tal caso – anche come crimine di guerra.

L’epidemiologia dell’abuso sessuale nell’adulto subisce un bias originale determinato, essenzialmente, dalla vergogna a denunciare quanto subito, implicando quindi una sottostima del problema soprattutto in campo maschile. Dati italiani (Istat, 25.000 donne) e statunitensi (National Institute of Justice di Washington DC, 8000 donne e altrettanti uomini) indicano l’entità del fenomeno in campioni che risultano rappresentativi della popolazione generale. La prevalenza Istat degli episodi di violenza fisica o sessuale nei confronti della donna (tra i 16 e i 70 anni e che abbiano subito almeno un episodio di violenza) è del 31,9% (il 18,8% violenze fisiche, il 4,8% stupri o tentati stupri). Per gli Stati Uniti, il 55% ha subito un episodio di violenza fisica o sessuale (il 51,9% violenza fisica, il 17,6% uno stupro o un tentato stupro).A tali numeri corrispondono 6.743.000 donne in Italia e 55.383.000 soggetti di sesso femminile negli Stati Uniti che,solo in questi due Paesi, hanno sperimentato nella loro vita almeno una volta una o più forme di violenza3,4 .

In Italia, l’incidenza annua ammonta al 5,4% (3,5% per la sola violenza sessuale, 0,3% per lo stupro o il tentato stupro e 2,7% per la violenza fisica), mentre negli Stati Uniti al 2,1% (0,3% per stupri e tentati stupri e 1,9% per la violenza fisica). Bisogna però tenere presente come, nello studio italiano, la voce violenza sessuale comprenda anche le molestie fisiche, mentre in quello americano solo gli stupri completati o tentati.

Un dato emerso da entrambi gli studi è quello riferibile al fatto che la violenza nei confronti delle donne sia prevalentemente perpetrata dai partner.In Italia il 69,7% degli stupri e il 37,9% dei tentati stupri è opera di partner (o ex partner) – che sono anche i maggiori responsabili della violenza fisica – mentre, dallo studio statunitense, il 76% delle donne vittime di violenza sessuale o fisica sono state aggredite dal partner. Questo dato differenzia le condizioni di genere in quanto le aggressioni nei confronti degli uomini eterosessuali, al contrario, sono perpetrate per lo più da sconosciuti. Nella grande maggioranza dei restanti casi, il persecutore era un conoscente della vittima diverso dal partner. In generale, emerge come la gravità della violenza aumenti con l’intimità del rapporto che esiste tra vittima e persecutore. Inoltre, lo studio Istat dimostra che, quando perpetrata dal partner, la violenza viene percepita dalla vittima come meno grave e come la gravità percepita sia inversamente proporzionale all’intimità del rapporto. In termini di età, negli Stati Uniti la maggior parte degli episodi iniziali di stupro (83,4%) avviene prima dei 24 anni contro il 25,4% in Italia.Inoltre, dallo studio emerge come le donne che hanno subito una violenza prima dei 16 anni, abbiano subito ulteriori violenze nel 64,4% dei casi, contro il 31,9% delle vittime con più di 16 anni e il 29,6% dei soggetti con anamnesi negativa. Un secondo fattore predisponente a subire violenze risulta essere la violenza del padre nei confronti della madre, con il 58,5% di donne (figlie) che vanno incontro a violenza da adulte.

 

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L’abuso di alcol risulta essere la più frequente associazione in caso di PTSD, con importanti evidenze che l’onset dell’abuso insorga successivamente al PTSD, anche se è stato documentato che più della metà delle donne oggetto di stupro faceva già uso di alcol al momento dell’abuso sessuale.

L’alcol aumenta il rischio di rivittimizzazione per molteplici motivi: disturba i meccanismi autoprotettivi e le capacità di problem solving, rendendo la donna più vulnerabile a eventuali aggressori; modifica, inoltre, l’impressione suscitata sull’uomo, che la percepisce come sessualmente più disponibile.

 Inoltre, esistono uomini che tendono a non considerare stupro l’avere rapporti sessuali con una donna “intossicata” o che abbia abusato di sostanze in grado di far diminuire la sua capacità critica. Potrebbe quindi avere un ruolo peggiorativo della situazione, soprattutto se si considera il ruolo di mediatore nella rivittimizzazione appena descritto. Analoga funzione potrebbe essere attribuita all’abuso di altre sostanze (quali la marijuana o altre droghe d’abuso), ma mancano studi specifici al riguardo.

 La teoria a oggi più accreditata è, però, quella dell’automedicazione. L’alcol verrebbe usato dalle donne per fronteggiare stati affettivi spiacevoli, tra cui quelli determinati dal PTSD e dal CSA. Il punto di vista maschile I meccanismi di reazione, immediatamente successivi all’aggressione, sono in parte mediati dalla variabile di genere. Le vittime di sesso maschile sembrano avere maggiori reazioni di rabbia, ostilità e depressione rispetto alle donne. In alcuni casi questi meccanismi possono sfociare in etero aggressività oppure rabbia o fantasie di vendetta nei confronti dell’aggressore o della società.

 In alternativa, molti uomini adottano atteggiamenti controllati, quali accettazione sottomessa, minimizzazione o rifiuto. Queste modalità possono rendere l’uomo predisposto a sequele psicologiche a lungo termine poiché l’atteggiamento sopra riportato rende più improbabile la ricerca di aiuto e più difficoltosa la metabolizzazione del trauma. Conseguenze psicologiche evidenziate sono l’aumentato senso di vulnerabilità o cambi drastici dello stile di vita, mutamenti della percezione che le vittime ha di sé o di ridotta mascolinità e auto-colpevolizzazione, considerata il fattore peggiore nel recupero di uno stato di salute. Sfera sessuale maschile Molte vittime possono sviluppare confusione riguardo alla propria sessualità, sia tra gli omosessuali che tra gli eterosessuali.

 Non è, infatti, infrequente che una vittima eterosessuale possa, in seguito, cercare contatti omosessuali o che, al contrario,sviluppi una spiccata avversione nei confronti di tutti gli omosessuali, in senso prettamente reattivo. L’80% degli eterosessuali vittime ha sviluppato crisi a lungo termine riguardo alla propria sessualità. Gli omosessuali, invece, possono sviluppare problemi con il loro orientamento sessuale o avere difficoltà nel percepire positivamente la propria sessualità; possono cominciare a concepire i rapporti consensuali come qualcosa di sporco, o perdere fiducia nel partner o negli uomini in generale. Potenzialmente, in tutti i casi gli uomini omosessuali possono sviluppare turbe della sfera sessuale a lungo termine, con possibili conseguenze nelle relazioni con il partner. I disturbi possono quindi protrarsi per anni a seguito dell’abuso e variano dall’inattività alla promiscuità.

A un party, Donna, una mia cliente, vede un uomo abbracciare e baciare la figlia in modo inappropriato, come se fosse la sua amante. Mentre me ne parla dice: “Quando l’ho visto mi si è accapponata la pelle e ho cercato di non pensarci. Allo stesso tempo avrei voluto scostarlo”. La stessa paziente trasale ogni volta che parliamo di qualche cosa collegata all’abuso sessuale o quando faccio una mossa inaspettata come piegarmi in avanti verso di lei. A livello profondo lei sa di aver subito un abuso sessuale, un problema con il quale ha lottato per la maggior parte della sua vita. A volte si dà della pazza perché non ne ha le prove.

In altre parole, non ricorda alcuna immagine precisa. “Devo vederlo, e allora nessuno potrà dirmi che non è vero”, dice. Questa reazione è tipica di un certo numero di miei pazienti che da bambini hanno subito un abuso sessuale. Per una serie di motivi l’analisi bioenergetica può essere il tipo di cura più adatto per le persone che hanno subito abusi di questo tipo. Questo scritto esaminerà alcuni di questi motivi. Esaminerà, inoltre, il processo di reminiscenza in generale e, più specificatamente, quali ‘ricordi’ hanno effettivamente significato da un punto di vista bioenergetico. La relazione termina con delle applicazioni cliniche per lavorare con i pazienti. Molti pazienti si dibattono nel dubbio di aver subito un abuso sessuale, ma non ci credono fino in fondo. Molto spesso pensano di essersi inventati tutto. Rimangono invischiati nello stesso dilemma di Donna: lo sanno, ma non ne hanno le prove dato che non hanno alcun ricordo visivo del fatto. Per conseguenza, spesso provano un senso di irrealtà al riguardo.

Addirittura si considerano pazzi. Per loro ricordare è associato a qualcosa di visivo – un flashback o un ricordo preciso. Eppure essi ricordano ciò che non riescono a immaginare in senso letterale e metaforico. In ogni caso il ricordo rimane immagazzinato nel loro corpo: hanno i brividi quando assistono a scene con sfumature incestuose; le loro spalle e braccia sembrano immobilizzate come se fossero tenuti da qualcuno quando nominano un membro particolare della famiglia; la loro bocca si serra e hanno attacchi di nausea o tosse quando parlano di fare l’amore; perdono la voce quando, scalciando, devono dire “No” e la cosa ricorda loro in qualche modo il sesso; le loro gambe non rispondono quando pensano di correre al riparo in un posto sicuro. Ogni tocco può essere recepito come un attacco fisico. Eppure, anche in presenza di queste reazioni, essi tendono a non credere alle esperienze corporee. Pensano solo per immagini, i ricordi della mente. Questa confusione nei confronti della realtà viene poi rinforzata nella vita quotidiana, visto che la nostra cultura tende a sottovalutare le esperienze del corpo. Iniziare un’analisi bioenergetica è spesso un sollievo: il corpo dice la verità.

L’atteggiamento del terapeuta verso questo dilemma è importantissimo. Considerare veritieri i ricordi corporei di un paziente e quindi credere a ciò che un paziente non riesce a immaginare, instaura un senso di realtà e riduce la sensazione di follia e solitudine così comune nei pazienti che hanno subito un abuso sessuale. Tale considerazione è anche il primo passo nell’aiutare il paziente a fidarsi nuovamente del proprio corpo, a ricreare una connessione con quel corpo che ha subito una violazione e che era stato, pertanto, abbandonato. Analizziamo più da vicino il concetto di ricordo da un punto di vista bioenergetico. Secondo la teoria tradizionale “il meccanismo associato alla repressione di antichi ricordi si struttura intorno alla necessità di evitare l’ansia. Nella prima infanzia il verificarsi di fatti spiacevoli è estremamente traumatico … Il processo di repressione e dissociazione è un modo di gestire l’ansia che minaccia l’io immaturo. Queste difese repressive continuano a funzionare ben oltre il periodo infantile e l’io reagisce agli eventi originariamente traumatici come se fosse ancora troppo debole e vulnerabile per affrontarli” (Wolberg 1977). Quello che ritroviamo in questa definizione è un io immaturo e sopraffatto che si difende dimenticando.

Quello che non troviamo è un corpo traumatizzato, sopraffatto e violato, che non ha dove andare e non ha modo di difendersi se non anestetizzandosi o dissociandosi. Ecco come la mia paziente Donna esprime questo fenomeno. Dice: “O divento insensibile o muoio. Diventare insensibili è come morire, sai, ma così puoi controllare la tua morte e ritornare indietro”. A rendere l’abuso sessuale così traumatico è la combinazione di fattori sia psicologici che fisici che vengono vissuti come minacce per la sopravvivenza. Essi possono essere riassunti come segue:

ATTACCO FISICO La violazione, spesso brutale, viola i confini fisici e invade il corpo.

IMPOSSIBILITA’ DI SFUGGIRE ALL’ATTACCO Un bimbo in una culla non può scappare o reagire. Anche un bambino più grande è ancora dipendente e non può semplicemente ribellarsi a chi gli impone l’abuso. Non esiste proprio alcuna via di fuga.

SEGRETEZZA Spesso viene imposta al bambino da chi commette l’abuso con delle minacce e ha per conseguenza la vergogna e l’isolamento emotivo dagli altri membri della famiglia.

ABBANDONO Oltre all’imposizione di segretezza, spesso, anche se il bambino parlasse, nessuno in famiglia lo ascolterebbe o lo prenderebbe sul serio.

TRADIMENTO Chi commette l’abuso, che può essere una persona molto amata dal bambino, tradisce quel bambino, allo stesso modo degli altri membri della famiglia che non se ne curano e di altri adulti in generale a causa della loro indifferenza.

INADEGUATEZZA DI SVILUPPO Sul piano energetico può verificarsi una sovreccitazione in un bambino il cui organismo non è ancora completamente formato e che non ha modo di far fronte a questo tipo di stimolazione (1). La rimozione si è rivelata essere totalmente insufficiente a tenere a bada il trauma in tutti i pazienti che ho curato. La dissociazione è sempre presente. Più intenso e remoto l’abuso, maggiore la dissociazione: “Non è successo a me, è successo solo al mio corpo” oppure “E’ capitato a qualcun altro”.

Ancora Donna: “Il mio corpo è il mio nemico perché ha lasciato che accadesse, mentre la mente è la mia alleata. E se il mio corpo sia stato indifeso, io non posso saperlo, e comunque, chi sta dalla parte degli indifesi?”. Ogni volta che si prospetta la possibilità di stare bene, specialmente nell’ambito dell’amore fisico, la sua mente prende il sopravvento mentre il corpo si irrigidisce o viene trascurato – la lista della spesa o che cosa preparare per cena automaticamente prendono il primo posto nei suoi pensieri, mentre le sensazioni sessuali vengono eliminate. Un’altra paziente, dopo un lavoro sul cavalletto che l’aveva fatta sciogliere in singhiozzi, ha mormorato: “Sai, c’era sempre un posto sicuro dove potevo rifugiarmi, ed era qui dentro” indicandosi la testa “E avevo anche un luogo sacro qui dentro, con fiori bianchi e viola, e nessuno ne sapeva niente, nessuno poteva entrarci. E il mio corpo … non aveva importanza”. Per il meccanismo di sopravvivenza, l’identificazione avveniva con la mente che veniva percepita come sicura e potente – via dal corpo che era invece ferito e indifeso.

Queste considerazioni ci offrono nuove intuizioni circa il processo di reminiscenza. Più dettagliatamente ci indicano quanto segue: 1) La terapia non deve mirare semplicemente a “far ricordare”,poiché in tal modo la dissociazione permane. Ricordare sottoforma di immagini può anche essere non necessario ai fini della guarigione. Prima che impariamo a parlare è possibile che le nostre esperienze vengano organizzate in una forma che non è necessariamente quella visiva, ciononostante il corpo è in grado di ricordare grazie a quegli schemi energetici di cui ho parlato e per mezzo di odori, luci e gesti. Inoltre, se si è trattato di un abuso anale, non vi è stata possibilità di vedere chi lo perpetrava, perciò è difficile averne un ricordo visivo. Ciò che si può ricordare è la sensazione di un pericolo posto dietro di noi e che porterà l’individuo abusato ad accertarsi di non avere altre persone alle spalle. Come racconta Donna: “Ho sempre cercato di assicurarmi di non avere nessuno alle spalle perché era da là che proveniva il pericolo. Ma come risultato me li trovavo tutti di fronte e perciò ho dovuto liberarmene, e questo è stato piuttosto difficile”. 2) Un terapeuta che spinge a ricordare, inconsciamente ripete aspetti dell’abuso perché è come se trasmettesse il messaggio “Non fidarti del tuo corpo, non è veramente importante, non ha peso in tutto questo” oppure “So meglio di te e del tuo corpo che cosa è giusto”.

Un’altra ripetizione può verificarsi quando un terapeuta si allea solo con la mente del cliente e non con la vera vittima, cioè il corpo e l’io distrutto. Il terapeuta può anche rovinare l’intero processo spingendo il paziente in qualche cosa prima che sia pronto, diventando così solo una persona in più che lo controlla. Per spiegare come nella vita adulta l’abuso sessuale si possa manifestare come memoria del corpo, userò gli esempi di altre due mie pazienti. Prima descriverò i ricordi corporei e poi lo schema di dissociazione generale. Con Monica non posso svolgere i tradizionali esercizi di grounding, come il piegamento in avanti, perché l’esposizione delle natiche o dei genitali è da lei percepita come fortemente pericolosa. “E’ come se ci fosse qualcuno dietro di me che potrebbe farmi qualsiasi cosa in qualsiasi momento”, dice. La posizione le fa sentire sì i piedi più radicati a terra, ma per lei equivale a essere intrappolata con i piedi inchiodati al suolo e la cosa le genera profondo terrore. In questo stato si sente come nella cantina della casa in cui viveva da bambina e dove il padre aveva un laboratorio. Vorrebbe scappare, ma è come se le sue gambe venissero afferrate da dietro. Non si tratta di un vero e proprio ricordo visivo, quanto di una memoria corporea. Più o meno a questo punto della terapia Monica iniziò a sognare una bambina vestita di bianco con del sangue che le scorreva tra le gambe.

Oggi, la maggior parte delle volte che Monica inizia ad arrabbiarsi con qualcuno, le viene un acuto attacco di artrite alle ginocchia e/o alle dita delle mani e ai polsi. Scalciare o torcere l’asciugamano spesso le genera paura, ma, quando lo fa, affiora un’ondata di rabbia, principalmente nei confronti del padre, facilitata dalle parole “Come puoi farmi questo. No, non farmelo”, e l’artrite recede spontaneamente. Le azioni di tipo assertivo sono fastidiose perché fanno emergere sensazioni di penetrazione vaginale recepite come attacchi e punizioni per aver parlato. Le stesse sensazioni di penetrazione accompagnano l’auto-assertività in generale. Monica è un avvocato di successo; quando iniziò la pratica privata e la sua attività aumentò, si trasferì in ufficio più grande, ebbe a che fare con dei sottoposti ed iniziò una nuova relazione intima, la sensazione si ripresentò, come se fosse una punizione per aver fatto qualcosa per se stessa, per il fatto di avere una vita sua e di essere felice. Lo schema di dissociazione generale di Monica è rappresentato dall’urgenza di scomparire ogni volta che inizia a sentire rabbia o gioia. Quando non può sparire fisicamente, diventa insensibile, lascia il suo corpo abbandonato mentre il suo spirito vaga altrove. Smette di parlare, i suoi occhi si offuscano, i muscoli perdono tono e il suo corpo si affloscia.

Perciò non sarà la sua vera essenza a subire un attacco, ma solo il suo corpo! Sara ha alle spalle una serie di relazioni infelici e spesso contrassegnate da abusi sessuali nella sua vita adulta, nelle quali sentiva di non avere il diritto di chiedere niente perché, se lo faceva, sarebbe “morta, si sarebbe sentita persa o completamente sola”. Il suo corpo è rigido e presenta accumuli adiposi. La sua bocca è estrememente contratta e i suoi denti serrati. Parlare di suo padre le fa venire la nausea, inizia a mancarle il respiro e a tossire, mentre cerca di serrare ancora di più le labbra. Anche Sara presenta una serie di continue afflizioni fisiche iniziate dopo l’adolescenza; eruzioni cutanee, seri problemi alla schiena, il braccio destro paralizzato, ferite al piede e attualmente forti disturbi da menopausa. All’inizio della terapia il lavoro espressivo risultò essere estremamente doloroso per lei e frustrante per entrambe, perché causava il riacutizzarsi dei disturbi. Mentre i vari sintomi somatici sembravano rappresentare frasi inespresse per tenere a bada un contatto seduttivo e invasivo, lo schema di dissociazione generale era la somatizzazione. Sara non ama il suo corpo. Per lei è “quella cosa che ha dolori, causa problemi e costa soldi”. In passato portava passivamente il suo corpo da un medico all’altro nella speranza che potessero fare qualcosa per guarirlo. L’analisi bioenergetica ci permette di comprendere come funzionino i muscoli e i tessuti coinvolti in questi segnali, sintomi e ricordi: il grasso funge da isolante contro l’invasione e la seduzione; le gambe hanno a che fare con la fuga o con la protesta e lo scalciare; la rigidità nella gola può essere un urlo bloccato; i denti serrati e la bocca contratta possono voler chiudere fuori un pene, e così via. Quali sono le implicazioni cliniche della nostra interpretazione? I pazienti che hanno subito abusi sessuali con i quali ho lavorato si dissociavano, ma allo stesso tempo conservavano alcuni ricordi corporei. A causa della dissociazione, non è sufficiente lavorare con ricordi isolati o ‘aree di tensione’.

Il lavoro deve simultaneamente tener conto del processo dissociativo sottostante e fare continua attenzione ai modi sottili attraverso i quali il processo si manifesta. La persona che ha subito un abuso sessuale ha bisogno di aiuto in modo da non fuggire dalle sensazioni che emergono mentre sta scalciando, per non perdere la connessione con le proprie emozioni mentre parla di ricordi, affinché non si congeli quando mette i piedi per terra, perché non somatizzi e si ritragga dalla vita. Infine essi hanno bisogno di sentire i loro corpi e di essere nei loro corpi. Un passo cruciale in questo processo è quello che io chiamo “rieducazione energetica”, la preparazione del tessuto a tollerare sempre più energia. Spesso, io assumo il ruolo di facilitatore in questo processo. Ad esempio, metto la punta delle mie dita a contatto con quelle del paziente, gli lascio assaporare la pressione e il lasciar andare, staccarsi e riprendersi, il contatto e i confini mentre sono in contatto con le loro dita e le loro mani, sentendo le loro e sentendo le mie. La mia paziente Donna richiede una presenza più forte da parte mia. A volte, quando si sente completamente sfiduciata e pensa che non riuscirtà mai a superare l’abuso, mi prende per le spalle, mi stringe e mi scuote fino al limite della mia tolleranza. Dopo può respirare ancora, ha una percezione ben precisa delle mani e delle braccia e di quelli che lei chiama “sentimenti del cuore”. Ha ripreso fiducia al punto che “forse non è troppo tardi. Posso ancora avere una vita”. Sentendo me, mentre sono ancora caricati dall’intensità del contatto, i pazienti possono permettersi di tollerare e godere la loro energia che scorre nuovamente nelle loro braccia, gambe, pelvi e visi. Questa rieducazione li lascia con ricordi corporei ristorativi e nutre un crescente senso di sé e di padronanza di sé. Nel corso di un simile lavoro può accadere che emergano anche ricordi visivi sull’onda dell’emozione. E siccome ora c’è un corpo in grado di sentire queste emozioni, esse non devono essere dissociate, ma possono essere affrontate. Esistono altri fattori importanti nella cura degli abusi sessuali per i quali l’analisi bioenergetica risulta particolarmente efficace:

IL RUOLO DEL CONTATTO Nella maggior parte delle scuole di terapia tradizionale si incontra un inequivocabile “No” al contatto fisico, al quale sottostà il concetto di rispetto dei confini dei pazienti e di controllo sui loro corpi. Sebbene io, naturalmente, concordi con il principio di rispettare i confini, non sono d’accordo su come questo concetto venga applicato o meno. Mi sembra un po’ come voler buttare il bambino insieme all’acqua sporca. Una carenza di contatto può venire interpretata come privazione e abbandono. Se qualcuno proviene da un contesto di contatti offensivi o inadeguati, come potrà mai imparare che cos’è un buon contatto? Come potrà mai apprendere a negoziare in un’interazione che comporti un contatto fisico?

PASSIVITA’ Le persone che hanno subito abusi sessuali si sono trovate nella situazione estrema di aver sopportato cose fatte addosso e dentro di loro. Per questo, spesso, portano nella vita adulta uno schema generalizzato di impotenza appresa e di passività. Il ruolo della vittima risulta loro familiare. Il lavoro bioenergetico, con la sua enfasi posta sulla mobilitazione, sull’aggressione e sull’espressione, fornisce un notevole aiuto per rompere questo schema. La linea guida, qui, consiste nel fatto che la rabbia è la spina dorsale della guarigione. Questo mi porta al punto finale:

SESSUALITA’ Come ha sottolineato il Dr. Alexander Lowen, solo la piena espressione della rabbia porta alla piena espressione della sessualità. Siccome le persone che hanno subito abusi sessuali sono state derubate della loro innocenza, hanno spesso la necessità di riappropriarsene in qualche modo. Come ha detto Donna: “Me l’hanno presa, me la devono rendere”. Paradossalmente, è questo atteggiamento che le mantiene in una posizione infantile. La ricerca dell’innocenza li fa rimanere attaccati al passato a spese della loro sessualità adulta. In bioenergetica, il focalizzarsi sul ruolo cardine giocato dalla sessualità nell’adulto sano può permettere alla persona che ha subito un abuso sessuale di reclamare il presente piuttosto che, sterilmente, il passato.

NOTE Apprezzo particolarmente l’interpretazione del Dr. A. Lowen circa gli importanti effetti della sovraeccitazione sull’organismo in fase di sviluppo, nel quale la scarica non è possibile, e delle conseguenze perniciose che questo produce nella successiva relazione della persona adulta col proprio corpo. Esiste un numero crescente di fattori che provano che l’abuso, sia sessuale che fisico, è un elemento eziologico nello sviluppo del disturbo delle personalità multiple. In base a quanto esposto nel presente scritto, il termine dissociazione ha un significato più ampio nella definizione della classica personalità multipla più che rappresentare una sottocategoria. [/read]