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  2. Turchia con l’emittente Turkish Radio and Television Corporation;
  3. Svezia con l’emittente Modern Times Group;
  4. Suriname con l’emittente Surinaamse Televisie Stichting;
  5. Paesi Bassi con l’emittente Sanoma Media Netherlands;
  6. Portogallo con l’emittente Rádio e Televisão de Portugal;
  7. Repubblica Ceca con l’emittente Ceca Ceská Televize;
  8. Paraguay con l’emittente Sistema Nacional De Television;
  9. Serbia con l’emittente Radio-televizija Srbije;
  10. Slovacchia con l’emittente Slovenská Televízia.

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ROMA  Da più parti viene presentato come il derby della svolta. In effetti per la Roma vincerlo equivarrebbe a mettersi alle spalle il settembre nero. D’altro canto la Lazio con 3 punti, e approfittando della sfida scudetto tra Juventus e Napoli, questa sera potrebbe regalarsi il ruolo del terzo incomodo che non t’aspetti.
La vigilia della stracittadina romana è atipica: si respirano atmosfere differenti sulle due sponde del Tevere. Da un lato la serenità dei biancocelesti che, grazie a 4 successi di fila, sono risaliti al quarto posto in classifica dopo le 2 sconfitte iniziali proprio contro Juve e Napoli. Dall’altro il nervosismo della Roma: il ‘brodino’ contro il Frosinone non ha fugato le perplessità sui giallorossi, attualmente decimi a -10 dalla Juventus capolista. Ma il derby è anche il confronto a distanza tra due tecnici in rampa di lancio come Inzaghi e Di Francesco. Il laziale non si fida: «La Roma in difficoltà? Assolutamente no, siamo a inizio stagione e si può avere un momento così. È successo anche a noi nelle prime due gare. Nel derby non ci sono favoriti, spesso i pronostici sono stati ribaltati. La gestione dello stress e la fame faranno la differenza». E lo stress è l’unica cosa che non manca a Trigoria: «E’ una partita importantissima per dare continuità, dobbiamo affrontare il derby col desiderio di vincerlo e ridare entusiasmo all’ambiente – spiega il tecnico giallorosso – Quanto è importante per il mio futuro? Lo è per quello della Roma. Io rappresento la Roma, non me stesso e cerco di fare il mio meglio per questa maglia a cui tengo tantissimo, tenendomela stretta».

DIVERSE FILOSOFIE Di Francesco gioca a carte scoperte. E non fa fatica ad ammettere «che ora non siamo competitivi per lo scudetto. Siamo però qui per cercare di recuperare». Non sarà semplice con una Lazio così in salute: «Hanno preso giocatori d’esperienza come Badelj, Correa e Acerbi, che io conosco benissimo, e hanno dato continuità al gruppo dello scorso anno e questo aiuta». La Roma, invece, ha optato per l’ennesima rivoluzione. E questo non aiuta. Guai però a dirlo a Inzaghi: «È vero che hanno perso giocatori importanti, ma ne hanno presi di altrettanto forti. Solo che bisogna dargli il tempo di inserirsi e a Roma non è facile. La garanzia della squadra giallorossa si chiama Di Francesco. È un grande allenatore, lo ha dimostrato l’anno scorso portando la Roma fino alla semifinale di Champions League. Se c’è qualcosa che temo della Roma è proprio lui». Che rispetto a Inzaghi rimane però ancora in bilico sulla panchina romanista.

Due bomber di razza. Entrambi in cerca di gol. E il derby come medicina. Edin Dzeko contro Ciro Immobile. Le fortune di Roma e Lazio passano per i loro piedi e i loro gol. Non è un caso che sia Di Francesco che Simone Inzaghi li abbiano fatti riposare nell’ultimo turno infrasettimanale, rispettivamente contro Frosinone e Udinese. Per averli al top oggi. Servono come il pane in una sfida così importate e sentita come il derby, che può essere decisa da una unica zampata vincente.
Ancora una sola rete per il bosniaco, alla ricerca del feeling migliore con la porta dopo anni passati a segnare. Molto meglio, 3 gol in 6 gare, per il bomber laziale, capocannoniere dello scorso campionato. Al suo primo anno in giallorosso Dzeko segnò alla Lazio sia all’andata che al ritorno, anche se poi non fu indimenticabile quella stagione. Meglio le ultime due, che però lo hanno visto chiudere i derby sempre all’asciutto. Ciro Immobile in maglia biancoceleste ha segnato 3 gol alla Roma, i primi 2 in Coppa Italia (sia all’andata che al ritorno nel 2016/17), l’ultimo lo scorso anno, inutile nel 2-1 giallorosso. Oggi l’ennesimo faccia a faccia.

. È stato certamente uno dei momenti più esilaranti della presentazione dell’autobiografia di Francesco Totti – “Un capitano” – giovedì sera al Colosseo. Sul palco viene chiamato l’ex compagno di squadra Vincent Candela. Totti lo accoglie con sguardo furbesco. Poi, guardando le scarpe del francese, gli chiede a bruciapelo: «Ma da dove vieni, dal bowling?».
Scusi Candela, ma che tipo di scarpe indossava l’altra sera? «Lasciamo perdere, Francesco di moda non capisce nulla (ride, n.d.c.). Lui comunque se lo può permettere, il nostro rapporto è profondo, di sincera amicizia. Possiamo non vederci o sentirci per un po’ di tempo ma poi quando lo facciamo è come ci fossimo visti due minuti prima. Del resto ci conosciamo da 22 anni, siamo cresciuti insieme e abbiamo vissuto tante esperienze. Dentro e fuori dal campo». Se l’aspettava in veste di narratore della propria autobiografia?

«Francesco è un patrimonio del calcio, è giusto che ora che ha smesso possa raccontare alla sua gente alcune cose che non ha mai potuto dire quando giocava». Come l’ha trovato?

«Bene. Frizzante, elegante, simpatico, a suo agio con tutti, dal sindaco Raggi a Veltroni, sembrava il perfetto padrone di casa. È un campione anche adesso che ha smesso. Andrebbe soltanto sfruttato di più».

In che modo? «Non voglio entrare nelle sue mansioni alla Roma perché sono cose personali tra lui e il club». Allora gliela rigiro: nel Candela Football club, Totti che compiti avrebbe?

«Lei non si arrende, eh? Gli darei carta bianca sotto l’aspetto tecnico. Francesco ha un occhio per valutare i calciatori fuori dal normale. Dai bambini ai professionisti, gli basta un nulla per capire se quel giocatore vale o meno. Devo essere sincero, pur conoscendolo bene, non so però se è una cosa che gli potrebbe piacere, ma lo sfrutterei sotto questo aspetto. Poi è giusto che in questo periodo stia cercando di capire con la società dove può essere più utile. Smettere per un fenomeno come lui con il calcio giocato non è stato facile».

È proprio uno dei temi più caldi dell’autobiografia… «Me l’ha regalata l’altra sera ma ancora la devo leggere…».

A lei non serve, conoscendolo sa bene dei problemi avuti con Spalletti.

«Normalmente le responsabilità si dividono sempre, come nelle amicizie o nei rapporti tra moglie e marito. Forse Francesco potrà aver sbagliato qualcosa ma conoscendolo, sapendo quello che ha dato alla Roma e considerando che Spalletti ha venti anni in più e fa l’allenatore, doveva capirlo maggiormente. E invece la gestione che ha fatto di quel patrimonio immenso che è Totti non mi è piaciuta. Troppo intransigente». Lei quando ha smesso ha avuto gli stessi tormenti di Francesco?

«No, io ho impiegato tre minuti a decidere…(ride, n.d.c.). Per me però è stato diverso. Mi sono trascinato qualche anno, ma il calcio è passato in secondo piano quando ho conosciuto la mia futura moglie nel 2002. Avevo vinto la Coppa del Mondo nel 1998, due anni dopo il Campionato europeo, nel 2001 lo scudetto con la Roma. È arrivato l’amore e mi ha portato via». Lei quando la scrive la sua autobiografia? «Ci sto pensando. Tre-quattro pagine le dovrò far scrivere per forza al mio amico Alessandro, altrimenti si arrabbia e non mi parla più».

Racconterà anche di qualche aneddoto con Totti? «No, altrimenti non la pubblicano (ride, n.d.c.)». Addirittura? Ce ne regala uno per salutarci?

«Ma non si può, eravamo ragazzini, avevamo venti anni… Ora siamo due signori di oltre quaranta. Se proprio insiste, di quelli raccontabili – tanto ormai abbiamo smesso di giocare entrambi – c’è sicuramente quando Francesco prendeva lo scooter, proibito assolutamente dalla società, e mi veniva a prendere in gran segreto a casa. Camuffati ce ne andavamo in giro per la città. Il problema è che ci riconoscevano comunque e così dovevamo scappare con la gente che ci correva dietro. Due matti, ma che risate».

Ora non si ride: c’è il derby. Pronostico?  «Due a zero per noi, senza problemi. Siamo tornati!».

Non c’è più Roma senza De Rossi. Strana la vita: nell’anno in cui Monchi prende al mercato un autorevole concorrente per proteggere la difesa, a pochi mesi dalla scadenza di un contratto che forse non verrà rinnovato, Di Francesco non rinuncia più al suo capitano. Ma come, non era pieno di acciacchi? Non era per lui impossibile giocare ogni tre giorni? Non adesso, non qui. De Rossi viene da tre partite consecutive da titolare, Madrid e Bologna e poi il Frosinone, e sarà in campo dal primo minuto anche nel trentesimo derby della sua carriera. Un traguardo dopo l’altro: mercoledì aveva potuto celebrare le 600 partite in giallorosso confronto. E’ curioso osservare che, nonostante i 35 anni suonati, De Rossi sia tornato indispensabile per la Roma. Anche l’anno scorso in realtà nella prima parte della stagione aveva giocato quasi sempre. Di Francesco lo aveva mandato in panchina solo contro il Benevento, come ha fatto due settimane fa contro il Chievo, per poi lasciarlo fuori nella seconda partita di Champions a Baku con il Qarabag. Ma nella prima stagione con Di Francesco il competitor era un francese spaurito, Maxime Gonalons, e non un campione del mondo, Steven Nzonzi. Eppure: eccolo ancora qui De Rossi a guidare la sua Roma in un meccanismo rinnovato, chiamato 4-2-3-1, senza conoscere riposo nel periodo di crisi tecnica. In panchina potrebbe andare martedì, per la sfida al Viktoria Plzen, ma per il derby non può. Non vuole.

STORIA. Giovedì, festeggiando Totti al Colosseo, aveva spiegato cosa significasse portare addosso la fascia di capitano della Roma: «E’ un onore e una responsabilità. Non è che non dormi la notte, ma percepisci il peso del tuo ruolo. Io non sono in grado di fare 300 gol come Francesco, ma posso dare un contributo valido come emblema del romanismo». Figurarsi contro la Lazio, la partita che ogni tifoso sente di più. Non è mai una vigilia semplice, prima del derby, anche se dopo 29 esperienze la tensione è diventata gestibile. Il bilancio dei risultati per De Rossi resta favorevole: 13 vittorie, 9 sconfitte. Ma certe partite gli sono rimaste sullo stomaco, per gli errori personali dettati dal nervosismo (vedi il pugno a Mauri) e per…i gol che ha segnato: sono 2 e sono coincisi con un derby perso. patto. Oggi De Rossi fa 30, come uno studente universitario che supera l’esame con il massimo dei voti. Sperando che il suo, di esame, riesca bene. In questo senso il feeling con Di Francesco, che spesso lo interpella in quanto leader del gruppo sulle mosse tecnico-tattiche, dovrebbe tranquillizzarlo dopo i dubbi estivi: quando le voci di mercato anticipavano lo sbarco a Trigoria di un altro mediano, De Rossi difese la professionalità di Gonalons lasciando intendere di essere perplesso davanti all’ipotesi di un nuovo ingresso nel reparto. Invece poi, allenamento dopo allenamento, De Rossi ha meritato sempre il suo spazio, con qualunque modulo, anche in coabitazione con Nzonzi: i due insieme, come ha osservato ieri l’allenatore in conferenza, sono la chiusura lampo che minimizza l’ansia dei difensori. «Chi dice che Nzonzi mi abbia dato fastidio racconta bugie – ha detto recentemente – posso giocare con lui come ho giocato con Gonalons e con Paredes». Magari non velocizzano il gioco una volta recuperato il pallone, magari non si inseriscono negli spazi come è capitato a Kolarov contro il Frosinone nel momento in cui è stato avanzato a centrocampo, ma in una squadra che tende a concedere troppo aiutano a mantenere l’equilibrio. Non è tutto ma è qualcosa.

Manolas recupera, Santon spera. Di Francesco sta effettivamente studiando un jolly da calare sul panno verde del derby: senza toccare il 4-2-3-1 potrebbe avanzare Florenzi nell’antico ruolo di attaccante esterno ed escludere Cengiz Ünder, che ha un affaticamento muscolare e potrebbe risentire della doppia fatica a tre giorni dai novanta minuti giocati con il Frosinone.

LE PROVE. Ieri, unico giorno utile per i test tattici, Di Francesco ha schierato appunto la linea Santon-Florenzi sulla destra, confermando il doppio mediano con De Rossi in coppia con Nzonzi e Pastore trequartista. A sinistra c’era El Shaarawy, elogiato pubblicamente dall’allenatore per l’efficiente lavoro in fase difensiva: il suo curriculum, due gol nel derby e tre alla Lazio, ne certifica la titolarità. Davanti ovviamente spazio a Edin Dzeko. La mossa Florenzi, che premierebbe l’ottimo esordio infrasettimanale di Santon, avrebbe un doppio scopo: aumentare il coefficiente di stabilità contro un avversario che tende a ripartire e allargare la difesa a tre della Lazio con le percussioni verso la linea di fondo.

DA VALUTARE. Quanto a Manolas, l’allenamento di rifinitura ha dato sufficienti garanzie. Non dovrebbero esserci problemi. Ogni decisione definitiva verrà comunque presa stamattina, anche in base alle condizioni di Ünder che già a San Siro contro il Milan era stato escluso per ragioni di affaticamento muscolare. Saranno quindi due le novità della Roma rispetto al Frosinone: Dzeko e Florenzi. Turnover limitato, per toccare il meno possibile una squadra rinfrancata.

escluso. Di Francesco ha convocato 24 giocatori, compreso Coric che era rimasto a casa nelle partite precedenti. Uno tra lui e Luca Pellegrini andrà in tribuna. Ma la stranezza riguarda il giovane William Bianda: escluso dalla partita della Primavera per restare a disposizione della prima squadra, è stato di nuovo ignorato da Di Francesco che fin qui non gli ha lasciato mai una poltrona, nemmeno in panchina. La “colpa” è del recupero di Manolas ma non solo: Bianda per lo staff tecnico della Roma è ancora molto indietro.

 Quota cento per Milinkovic. Cento, con il derby di oggi, saranno le sue presenze in serie A (18 gol e 15 assist). Quota cento non basta per valutarlo economicamente, stando all’ultima valutazione il prezzo del cartellino è fissato in 120 milioni (scontando il costo iniziale, quei 150 milioni). Nessuno ha Milinkovic, solo la Lazio. E’ il golden boy del derby. Cento presenze, più di cento milioni di valore. Due gol e due assist in sei derby, questi sono tutti i suoi grandi numeri. I gol risalgono alla semifinale di Coppa Italia del 2017, doppia vittoria della Lazio e volo in finale. Uno dei due assist risale all’ultima vittoria laziale in campionato (sempre nel 2017, sonoro 1-3). «Voglio giocare il derby e segnare un gol», ripeteva il Sergente prima di giocarlo e prima di colpire. Quel desiderio è stato esaudito e continua ad essere cullato. Milinkovic ha riposato a Udine per presentarsi pronto e pimpante nel derby. S’è sbloccato contro il Genoa, ha colpito di testa, alla sua maniera, arrampicandosi in cielo. Saltando ha raggiunto quota 2 metri e 22 centimetri, basti pensare che la porta misura, da terra, 2,24 metri. E’ tornato il gigante Sergej e Inzaghi si augura di vederlo nella stessa versione contro la Roma. Il destino. Questo derby non doveva giocarlo, invece lo giocherà. E’ stato in bilico per tutto il mercato, alla fine è rimasto. Milinkovic è l’asso in più, l’arma multifunzione. Inzaghi, da lui, può ottenere assist e gol, pressing e ripartenze, palloni recuperati e riciclati. Parlano tutti di lui, succede sempre. Ieri, al coro dei fans di Sergej, s’è unito Igor Protti, ex bomber biancoceleste: «Milinkovic? Ha tutto per essere decisivo, quest’anno non è partito bene perché mentalmente forse era un pò distratto, ma è tra i centrocampisti più forti che ci sono in circolazione. Tutti lo vorrebbero in squadra, lui e De Bruyne del City sono i numeri uno». Milinkovic è pronosticato tra gli uomini che possono decidere la partitissima. E’ in crescita, deve confermare l’exploit di domenica scorsa. Ha giganteggiato come ai bei tempi, ha spadroneggiato. Inzaghi, con il miglior Milinkovic, può conquistare il centrocampo del derby. Per Sergej oggi sarà un giorno di maggior valore. Le cento presenze in campionato le ha totalizzate nel giro di tre anni. E’ arrivato nel 2015 e prima di sbarcare a Roma disse «vedrete, valgo i dieci milioni spesi dalla Lazio». Quei dieci milioni, nelle due tranche di pagamento, sono diventati quindici milioni. Nel 2015 sembrò una cifra esagerata per un ventenne sconosciuto. Nessuno si sarebbe aspettato che i 15 milioni, in tre anni, si sarebbero moltiplicati per 10. i compagni. «Milinkovic? Speriamo di rivederlo in ritiro», ripetevano Inzaghi e i compagni di squadra in estate. Hanno temuto di perdere il Sergente, ad ogni voce di mercato corrispondeva un brivido. Fino all’ultimo tutta la Lazio ha sperato nella svolta, nella permanenza di Sergej. E quando s’è chiuso il mercato tutti hanno tirato un sospiro di sollievo. Milinkovic c’è e dopo il derby sarà annunciato il rinnovo fino al 2023, un rinnovo ricco. L’annuncio è slittato, il contratto è già stato firmato. La settimana del derby non ha ammesso distrazioni. Il sogno, non confessato per scaramanzia, è festeggiare il nuovo contratto doppiamente. La Lazio e tutti i tifosi si affidano al Sergente, ai suoi 193 centimetri di altezza, ai suoi colpi di testa, ai suoi missili, ai suoi assist. Può decidere il derby come vuole, a piacimento. Se in vena, se al top, è un gigante di talento, di rabbia, di muscoli, copre tutto il campo. Lo vedi ovunque perché anche la sua ombra s’allunga.

C’era una volta il Giubileo del 2000 e uno scudetto che si muoveva da una parte all’altra del Tevere come il più abile dei barcaroli. Erano i tempi in cui Di Francesco e Inzaghi si sfidavano da giocatori nel derby. Ne hanno vinto uno a testa. Ad esultare per primo è stato Eusebio, il 21 novembre 1999. L’Olimpico è strapieno e l’aquila arriva alla sfida da capolista e imbattuta. Eppure ci lascia le penne. La squadra di Capello gioca a meraviglia e fa 4 gol nel primo tempo con le doppiette di Delvecchio e Montella, rendendo di fatto inutile il 4-1 finale di Mihajlovic. Di Francesco entra al 67’ al posto di Zanetti, mentre Inzaghi prende il posto di Salas 6 minuti dopo. Tra loro un paio di contrasti (vinti dal romanista) e qualche scintilla. Niente di più. I due crescono con il passare delle gare e sono titolari al ritorno, il 25 marzo 2000. La Lazio è a -9 dalla Juve e vincendo può accorciare a una settimana dallo scontro diretto. Inizia con Montella che frega tutti – anticipando pure Di Francesco pronto a calciare – nell’azione dell’1-0 al 3′ minuto. Poi si sveglia la Lazio: Inzaghi diventa protagonista con un assist al bacio che Nedved trasforma in gol per l’1-1; 180 secondi dopo Veron mette il pallone sotto l’incrocio da punizione. La Lazio riapre così la lotta per uno scudetto che vincerà in rimonta. La stagione dopo, quella del tricolore giallorosso, Di Francesco manca all’andata e Inzaghi al ritorno. I due si sfideranno ancora, ma con maglie diverse e la statistica totale (che comprende i Piacenza-Roma con Simone in Emilia e i Piacenza-Lazio con Eusebio in Emilia) è di 7 partite con 4 vittorie del laziale, 2 del romanista e 1 pari. Simoncino è avanti anche nelle sfide in giacca e cravatta con 2 vittorie contro 1 (più un pareggio), ma il derby fin qui l’ha vinto solo Eusebio.

Ancora qualche partita a digiuno e il cigno di Sarajevo potrebbe diventare un brutto anatroccolo. Dategli un assist come si deve e fatelo in fretta perché i romanisti non sono più abituati a vedere prestazioni come quelle di Madrid e Bologna. Edin Dzeko non fa gol dal 19 agosto, esattamente da 6 gare. L’ultimo è arrivato a Torino, nella prima trasferta, dove più che una rete aveva pennellato un’opera d’arte: cross di Kluivert e tiro al volo di sinistro per dimostrare agli scettici che la magia di Stamford Bridge contro il Chelsea in Champions non era frutto della dea bendata, ma solo e soltanto un’opera del suo genio. Da lì in poi l’artista si è bloccato, come un pittore davanti alla tela bianca. Una crisi in cui è emerso un nervosismo mai visto neanche nel campionato d’esordio in Italia, quello degli 8 gol e delle critiche da parte dei tifosi. Di Francesco gli sta cambiando continuamente gli esterni (Under, El Shaarawy, Kluivert e Perotti) senza mai fargli trovare il partner ideale (Ah, l’amico Salah…), poi ha sostituito anche lui quando la panchina scottava e serviva vincere e convincere col Frosinone. Al suo posto ha giocato Schick e Dzeko non l’ha presa per niente bene, poi ha capito che un turno di riposo avrebbe rilassato dei nervi troppo tesi in vista della partita che conta davvero, quella di oggi contro la Lazio. Nelle precedenti era stato piuttosto discutibile il suo atteggiamento, quasi spazientito da una Roma il cui gioco faticava a decollare. Un paio di volte è stato pizzicato dalle telecamere a discutere con i compagni per un passaggio sbagliato e non sono mancate neanche le occhiatacce a Di Francesco con le braccia larghe in segno di sconsolazione. Tutto cancellato. O almeno così pare dalle indiscrezioni che filtrano da Trigoria. Si dice che Dzeko non solo sia pronto per la stracittadina, ma abbia pure il colpo in canna. L’ex Manchester City sa come far male ai biancocelesti. Gli è successo due volte da quando è a Roma e sempre nella stagione 2015-16, quella dell’esordio. Il bosniaco quell’anno non segnava praticamente mai, eppure bucava la Lazio con una facilità estrema, sia all’andata – in cui realizzò il rigore del vantaggio nel 2-0 finale – che al ritorno, dove fece il gol dello 0-2 nella partita (conclusa 1-4) dell’esonero di Pioli. Giriamola in un altro modo: il gol di Dzeko potrebbe aver favorito o almeno accelerato l’insediamento di Inzaghi sulla panchina laziale. Probabile, ma Simone in qualsiasi caso si è visto bene dal restituirgli il favore e nelle 6 partite in cui ha affrontato la Roma da allenatore lo ha sempre ingabbiato. Sono passati due anni e 3 mesi dall’ultima esultanza di Dzeko nella stracittadina. Nel frattempo ha segnato a raffica e si è preso il gradino più alto del podio insieme a Batistuta nel sondaggio sul sito del Corriere dello Sport-Stadio. Chi è stato il più grande bomber della storia giallorossa? I tifosi hanno votato il centravanti dello scudetto e quello del presente. Ora dovrà dimostrare di meritarsi questa medaglia d’oro ex aequo facendo un altro passo verso la gloria: vincere il derby con il terzo gol alla Lazio. Sarebbe la 75a rete in giallorosso e non ci sarebbe occasione migliore per superare il principe Giannini nella classifica degli attaccanti romanisti più prolifici di sempre.

Ne ha vinto solo uno su cinque, in realtà ha festeggiato due volte, perché non era mai capitato di perdere e abbracciarsi con il sorriso per aver eliminato la Roma, come è successo alla Lazio, nella semifinale di Coppa Italia del 2017. Immobile immarcabile, segnò un gol all’andata e uno al ritorno. Spalletti ribaltò il risultato trovando il 3-2 negli ultimi minuti, quando la Lazio stava ormai facendo solo il conto alla rovescia per arrivare al novantesimo. Sessanta giorni meravigliosi per Inzaghi e il suo gruppo perché il 30 aprile arrivò un altro successo, l’ultimo in ordine cronologico, con il 3-1 in trasferta griffato dalla doppietta di Keita. Ciro si era arreso all’influenza durante il riscaldamento, sostenuto per provare a mettere paura ai giallorossi. Nella passata stagione lo 0-0 del ritorno e il ko del girone d’andata, segnando su rigore il gol dell’illusione: finì 2-1 per la Roma. 27 GOL DECISIVI. Ora Immobile vuole tornare a lasciare il segno. Nessuno è decisivo in Serie A quanto lo è stato Ciro negli ultimi due anni ed è strano non ci sia ancora riuscito nell’avvio di questo nuovo campionato. Una prodezza per spaventare il Napoli prima di subire il sorpasso, una doppietta con il Genoa nella partita piegata a favore dalle reti di Caicedo e Milinkovic. Di solito il centravanti azzurro è abituato a segnare gol pesantissimi. I suoi guizzi spostano le partite. Sono sentenze. Nel 2016/17 si fermò (si fa per dire) a quota 23 gol, di cui 11 decisivi. Nel passato campionato si è laureato capocannoniere (ex aequo con Icardi) segnando 29 reti, di cui 16 determinanti. Dove per “gol decisivo” si intende quello che ha orientato il risultato, portando punti alla Lazio: ai fini puramente statistici, il gol senza il quale sarebbe stato impossibile centrare una vittoria o un pareggio. Non possono essere considerati allo stesso modo quei gol che non determinano il risultato. 36 punti. Lo score di Immobile nei due precedenti campionati è stato impressionante. Nel 2016/17 i suoi 11 gol decisivi (sui 23 totali) hanno prodotto 18 punti. Esattamente come Dzeko che aveva realizzato 29 reti. Nel campionato scorso Ciro si è superato: ha raggiunto quota 29, di cui 16 determinanti ai fini del risultato, portando 18 punti sui 71 realizzati in 38 giornate dalla Lazio e chissà come sarebbe andata a finire se avesse giocato a Crotone alla penultima giornata invece di saltare quella partita per un infortunio muscolare, fatale nella corsa Champions. Dzeko, invece, aveva portato soltanto 4 punti alla classifica della Roma. Anche nello scorso campionato nessuno è stato decisivo quanto Immobile con i suoi gol. Viene da un’estate complicata e in cui ha faticato, quando la Lazio, a raggiungere la forma e una buona condizione atletica. Domenica scorsa, con qualche spallata, lo ha aiutato Caicedo a trovare spazio. Oggi dovrà puntare Manolas e Fazio sfruttando i rifornimenti in profondità di Luis Alberto, destinato a ritrovare il suo posto nel ruolo di trequartista. Formavano la coppia che aveva convinto Inzaghi a cancellare Felipe Anderson. Si devono ritrovare per riportare la Lazio a sognare la Champions. [/read]