Tumore al seno, trovato l’antibiotico che lo può curare

Hanno preso un antibiotico banale – la doxiciclina – di solito usata per curare l’acne. Prima l’hanno sperimentato in laboratorio (in vitro) in Gran Bretagna. Poi su 15 pazienti affette da carcinoma alla mammella, a Pisa. Nel centro di senologia diretto dalla professoressa Manuela Roncella. Una dose di 200 milligrammi per 14 giorni, prima di asportare il tumore “ridotto”. Così il gruppo di ricerca del professor Antonio Giuseppe Naccarato dell’azienda ospedaliera universitaria pisana ha avuto la conferma: gli antibiotici (alcuni) possono curare il tumore al seno.

Tumori nel 2018: al Sud ci si ammala di meno, ma al Nord si sopravvive di più Nel 2018 sono 373.300 i nuovi casi di neoplasie in Italia e a pagarne le spese è soprattutto il Sud. Nonostante nel Meridione il tasso di incidenza dei tumori sia più basso rispetto al Nord (13% tra gli uomini e 16% tra le donne), nelle regioni settentrionali si guarisce di più, grazie a cure migliori e una maggiore adesione ai programmi di screening. Sono solo alcuni dei dati che emergono dal nuovo rapporto “I numeri del cancro in Italia 2018”, realizzato da AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica) e AIRTUM (Associazione Italiana Registri Tumori), e presentato dal Ministero della Salute. Ecco qui i dati principali del rapporto (a cura di Marisa Labanca)
I risultati sono in stato avanzato, anche se non definitivi. Ma sono molto incoraggianti. Tanto da essere già stati pubblicati (a ottobre) sulla rivista internazionale Frontiers in Oncology (una delle più accreditate nel settore dell’oncologia). Del resto questi studi sono frutto di collaborazione fra Pisa e l’università britannica di Salford che, grazie al professor Michael Lisanti, un’autorià in materia di ricerca sul cancro, per anni ha studiato l’effetto (in vitro) degli antibiotici sulle cellule tumorali. In Toscana la ricerca è curata da Cristian Scatena anatomopatologo e allievo della Scuola di dottorato in Scienze cliniche e traslazionali di Pisa

Il professor Lisanti – esordisce Scatena è un luminare della medicina traslazionale (branca della medicina biomedica che impegna risorse per migliorare prevenzione, diagnosi, terapie, ndr). «Da anni studia il metabolismo del cancro: cerca di capire da dove la malattia tragga l’energia per svilupparsi. E, con gli studi pre-clinici (in vitro), ha verificato come gli antibiotici possano ridurre, inibire, di fatto uccidere, le cellule staminali neoplastiche (tumorali) responsabili sia del ripresentarsi della malattia (le recidive), sia della resistenza alla terapia, sia della riproduzione delle cellule malate». Quindi, in Gran Bretagna i ricercatori del gruppo di Lisanti testano vari antibiotici su 8 diversi tipi di tumori. «Grazie a questa ricerca – riprende Scatena – possiamo verificare che: 1) la doxiciclina è uno degli antibiotici più efficaci per eradicare le cellule tumorali; 2) per la precisione, agisce sui mitocondri, considerate le “centraline energetiche” della cellula; 3) i mitocondri si comportano come batteri: inibendo i mitocondri, di fatto si impedisce la riproduzione o si uccidono le cellule malate».

Non solo. Le ricerche in vitro – sottolinea Scatena – evidenziano che l’impiego degli antibiotici come inibitori delle cellulle tumorali «è efficace in modo particolare nella cura di alcuni tumori come linfomi che avevano origine nell’occhio o nello stomaco. In particolare, ci si era resi conto della riduzione di massa tumorale (in vitro) nei pazienti trattati con terapia per debellare l’helicobacter pylori (il batterio causa di ulcere, gastriti). E questo avveniva anche quando il tumore non era causato direttamente dall’infezione del batterio». Da qui – prosegue Scatena l’idea di sperimentare la stessa tecnica pure per la cura del carcinoma alla mammella.

I risultati in vitro sono buoni. Quindi, si decide di passare dalla sperimentazione di laboratorio a quella clinica. A Pisa, esiste il centro senologico della professoressa Roncella, uno dei migliori d’Italia: qui le pazienti vengono prese in carica con percorsi personalizzati e seguite fino alla guarigione. Quindi vengono individuate 15 volontarie. Nel 2016 inizia la ricerca che si articola in 2 fasi: il prelievo e la valutazione del tessuto del carcinoma (in stadio precoce) prima della terapia e dopo l’intervento, al termine di 14 giorni di trattamento con gli antibiotici. «Sono state individuate – insiste il dottor Scatena – tutte pazienti operabili: 9 sono state trattate con antibiotici e 6 no in modo da poter confrontare la differenza. Nelle pazienti trattate, la riduzione della massa tumorale asportata, è stata evidente». Il marcatore che fa la differenza, il più rappresentativo della “staminalità” delle cellule è il CD44: «Nelle pazienti trattate con gli antibiotici – dice Scatena – era ridotto in modo sensibile. In primavera dovremo aprire una nuova sperimentazione per arrivare ai risultati definitivi. Ci vorranno ancora un paio di anni. Vorremmo utilizzare altri farmaci ( in fase di selezione) che aumentino l’efficacia della terapia».

Il cancro non è una malattia unica, non ha un’unica causa né un unico tipo di trattamento: esistono oltre 200 tipi diversi di cancro, ognuno con un suo nome e una sua terapia. Benché le cellule che costituiscono le varie parti dell’organismo abbiano aspetto diverso e funzionino anche in modo diverso, la maggior parte si riparano e si riproducono nello stesso modo. Di norma la divisione delle cellule avviene in maniera ordinata e controllata, ma se, per un gualsiasi motivo, questo processo si altera, le cellule ‘impazziscono’ e continuano a dividersi senza controllo, formando una massa che si definisce ‘tumore’.

Cellule tumorali
I tumori possono essere benigni o maligni. I medici sono in grado di stabilire se un tumore è benigno o maligno sulla base di una biopsia. Le cellule dei tumori benigni crescono lentamente e non hanno la capacità di diffondersi ad altre parti dell’organismo; tuttavia, se continuano a crescere nel sito originale, possono diventare un problema, in quanto esercitano pressione contro gli organi adiacenti. Al contrario, i tumori maligni sono costituiti da cellule che, in assenza di un trattamento opportuno, hanno la capacità di invadere e distruggere i tessuti circostanti e di diffondersi a distanza, ovvero, al di là della sede di insorgenza del tumore primitivo. In altre parole le cellule neoplastiche possono staccarsi dal tumore primitivo e diffondersi attraverso il sangue o il sistema linfatico. Quando raggiungono un nuovo sito, le cellule possono continuare a dividersi, dando così origine ad una metastasi.

La mammella
La mammella è costituita da cute, tessuto adiposo, tessuto connettivo e tessuto ghiandolare. Quest’ultimo è suddiviso in lobi, dai quali si diparte una rete di dotti che si diramano fino al capezzolo. Il latte è prodotto nei lobi. Le mammelle non sono mai perfettamente uguali tra loro, e si modificano nelle diverse fasi del ciclo mestruale, risultando talvolta ‘nodose’ proprio prima della mestruazione. Al di sotto della cute, una ‘coda’ del tessuto mammario si estende fino al cavo ascellare, che contiene un gruppo di linfonodi che fanno parte del sistema linfatico. Altri gruppi di linfonodi sono localizzati sotto lo sterno e dietro la clavicola.

Con il termine tumore della mammella s’intendono ormai correntemente molte diverse condizioni di malattia di quest’organo femminile. In realtà, come tutti i tumori, anche quelli della mammella possono essere benigni o maligni: i primi sono chiamati anche fibroadenomi, i secondi sono sostanzialmente i carcinomi. fibroadenomi sono frequenti nelle donne giovani, soprattutto in quelle che non hanno ancora avuto gravidanze. Non rappresentano un pericolo e si asportano chirurgicamente solo se crescono rapidamente di dimensioni oppure se cambiano aspetto o forma.
I carcinomi sono i tumori maligni che colpiscono la ghiandola mammaria, un complesso e sofisticato insieme di cellule molto ben organizzate fra loro e programmate dalla natura per una sola e fondamentale funzione: produrre il latte che nutrirà il neonato. Le cellule della ghiandola mammaria sono di due tipi:

♦ cellule lobulari, che producono il latte; e
♦ cellule duttali, cosiddette perché formano i dotti (o condotti) che portano il latte al capezzolo e quindi alla bocca del neonato.
Se la cellula che si trasforma in maligna appartiene a un lobulo, si avrà un carcinoma lobulare; se la trasformazione maligna avviene in un dotto, si avrà un carcinoma duttale. Il processo di trasformazione verso la malignità è relativamente lento, e caratterizzato da varie fasi: una prima fase in cui il carcinoma cresce nella zona anatomica in cui è nato e per questo definito in situ, seguita da una fase in cui diventa infiltrante della stessa zona, e per questo definito infiltrante (o invasivo). Quindi non bisogna spaventarsi se si legge ‘carcinoma mammario duttale (o lobulare) infiltrante (o invasivo)’, perché questo vuol dire semplicemente che il carcinoma è stato trovato in un dotto (o lobulo) e che è cresciuto fino al punto di infiltrarlo. Non vuol dire quindi che il tumore ha cominciato a invadere l’intero organismo.

Quali sono i tipi di carcinoma della mammella?
Fino a qualche decennio fa la diagnosi di tumore veniva formulata dal patologo studiando al microscopio le cellule del nodulo duro asportato con l’intervento chirurgico (oppure ‘esplorato’ con un ago sotto vuoto in grado di aspirare del materiale biologico da esaminare). Visto il tessuto maligno, fatta la diagnosi. Per questo la terapia del tumore era sempre la stessa: asportazione totale della mammella. Tuttavia, con l’evoluzione delle conoscenze scientifiche, il patologo è arrivato a distinguere il carcinoma in quattro tipi e a mettere in guardia il chirurgo sulla loro sostanziale diversità.
Carcinoma lobulare in situ: non rappresenta un rischio per la vita, perché la sua malignità è praticamente solo formale, nel senso che la morfologia delle singole cellule è indicativa di una loro trasformazione, equivalente a uno stato di precancerosi, vale a dire una dimostrazione dell’esistenza di un rischio per la donna di ammalarsi di carcinoma mammario. Questo tipo di tumore è indicato anche con la sigla UN (che si rifà al nome inglese e che sta per neoplasia intraepiteliale lobulare), che può diventare LINI, LIN2 o LIN3 a seconda del livello di evoluzione verso la malignità. La terapia si limita alla semplice asportazione dell’area interessata dal tumore.

Carcinoma duttale in situ: anche questo tipo di tumore è considerato una precancerosi, ma è già un po’ più pericoloso del carcinoma lobulare in situ, perché tende a riformarsi
e a diventare infiltrante. Deve essere curato con molta attenzione e non sempre è possibile farlo facilmente, perché nella fase in situ  non è palpabile. È il radiologo che lo riconosce subito alla mammografia sotto forma di microcalcificazioni. La mammografia è l’unico esame che consente di diagnosticare la malattia durante la lunga fase dell’infiltrazione.
Carcinoma lobulare infiltrante: è un carcinoma della mammella in senso pieno. Tende a essere multicentrico e multifocale. È più raro del carcinoma duttale. Per una diagnosi precisa e per programmare con accuratezza il giusto tipo di intervento chirurgico è spesso necessaria, oltre alla mammografia, anche la risonanza magnetica . La terapia è chirurgica.
Carcinoma duttale infiltrante: è il tipo di carcinoma mam mario più comune e frequente. È generalmente concentrato in un unico nodulo che cresce in un punto preciso della ghiandola mammaria. La terapia chirurgica è essenziale, e l’intervento comprende anche l’asportazione dei linfonodi ascellari o la biopsia del linfonodo sentinella

Quali sono le cause e i fattori di rischio del carcinoma della mammella?
Il carcinoma della mammella è il tumore più frequente tra la popolazione femminile. Pur essendo le cause tuttora sconosciute, sono stati individuati alcuni fattori di rischio: in primo luogo l’età (tant’è che oltre il 65% dei casi si riscontra in pazienti con più di 65 anni), seguita da: fattori legati alla salute:
♦ pregressa diagnosi di tumore del seno
♦ alcune patologie mammarie benigne;
♦ sovrappeso dopo la menopausa;
fattori ormonali
♦ trattamento pregresso o in corso con terapia ormonale sostitutiva (TOS) (v. pag. 38). Si fa presente che per le donne giovani che ricevono una TOS per compensare una menopausa precoce o un intervento di ovariectomia, il rischio non aumenta fino all’età di 50 anni;
♦ uso della pillola anticoncezionale per lungo tempo;
« nulliparità;
« menarca precoce o menopausa tardiva;
♦ mancanza di latte o allattamento breve;
♦ prima gravidanza tardiva;
fattori legati allo stile di vita
♦ largo uso di alcolici per molto tempo;
fattori genetici
♦ in casi molto rari (meno di 5 su 100) la malattia è causata da mutazioni genetiche, ma sono frequenti i casi di tumore della mammella sporadico, ossia diagnosticato in una sola donna della famiglia. Ciò significa che, pur avendo una parente affetta dalla malattia, nella maggior parte dei casi non si fa parte di una ‘famiglia a rischio’. Se, invece, i familiari colpiti dalla malattia sono due o più, e soprattutto se la malattia è stata diagnosticata in giovane età o ad ambedue le mammelle, si può sospettare un difetto genetico ereditario.
In tali casi è sufficiente un semplice prelievo di sangue per accertare la presenza di mutazioni genetiche. L’indicazione dovrebbe essere formulata da un genetista nell’ambito di una consulenza genetica. Queste analisi sono disponibili presso appositi centri specializzati.

Negli stadi iniziali, la malattia non dà luogo a sintomi specifici, ma ogni donna dovrebbe conoscere bene le proprie mammelle per essere in grado di riconoscere eventuali cambiamenti quali:
mammella: – variazione di dimensioni o forma
– presenza di rilievi o infossamenti sulla superficie (pelle a buccia d’arancia)
– presenza di protuberanza o ispessimento capezzolo: – retrazione (verso l’interno)
– protuberanza o ispessimento nell’area situata dietro il capezzolo
– eczema sul capezzolo o nell’area circostante (in casi rari)
– secrezione ematica (in casi molto rari)
braccio: – gonfiore a livello dell’ascella
Il dolore localizzato alla mammella solitamente non è sintomo di malattia.

Se il tumore è scoperto quando è ancora molto piccolo, vi sono ottime possibilità di guarire.
Molto importante ai fini della prevenzione, o più corretta- mente dell’anticipo diagnostico, è la mammografia, una tecnica radiologica in grado di svelare noduli anche molto piccoli, non ancora palpabili all’esame manuale. Dopo avervi sistemato accuratamente sul lettino, il tecnico di radiologia esegue due radiografie, da due angolazioni diverse, per ciascuna mammella. La mammografia è consigliata alle donne di età superiore a 40 anni, mentre per le più giovani indicata l’ecografia (v. sotto).
L’applicazione delle moderne tecnologie e i risultati della ricerca mirati a individuare i tumori piccolissimi e non quelli ormai già palpabili hanno ridimensionato il ruolo, ai fini della diagnosi precoce, dell’autoesame del seno, che la donna deve eseguire periodicamente 4-5 giorni dopo il termine delle mestruazioni per acquisire una profonda conoscenza del proprio seno in modo da saper riconoscere eventuali cambiamenti nelle diverse fasi del ciclo mestruale e alterazioni, anche minime, che rendono la mammella ‘diversa dal solito’.

Tra le donne, è il tumore più diffuso e rappresenta il 29% di tutti i tumori che interessano il gentil sesso. Quello al seno colpisce infatti una donna su 8 nell’arco della vita. Per fortuna, però, sono tante le armi che si hanno a disposizione per prevenirlo, così come quelle per combatterlo.

«E bene fin da ragazze imparare a prendere confidenza con il proprio seno, stringendolo di tanto in tanto tra le dita. Dai 20 anni in avanti va eseguito un controllo clinico e un’ecografia mammaria almeno ogni 2 anni. Superati i 40, invece, va effettuata una mammografia all’anno» raccomanda il professor Riccardo Masetti, direttore dell’Unità di Senologia del Policlinico Gemelli di Roma.

L’esame cardine della prevenzione è la mammografia, che può essere integrata, se il radiologo lo ritiene op- _ portuno, con un’ecografia mammaria. La ripetizione annuale della mammografia è utile per scoprire eventuali lesioni mammarie prima che si notino alla visita clinica.

È utile l’autopalpazione

In realtà, è utile in chiave preventiva anche l’autopalpazione, una sorta di “auto-esame” che ogni donna, già da giovane, può imparare a fare toccandosi il seno con le dita, possibilmente ogni mese nei giorni successivi al ciclo. Prendendo quest’abitudine si possono notare eventuali noduli, che per prudenza devono essere segnalati sempre al medico di famiglia.

Spesso sul piano clinico il tumore si presenta infatti come una nodularità (ma esistono anche nodularità benigne, come le cisti o i fibroadenomi). Altri segni possono essere modificazioni della pelle (arrossamento, indurimento, retrazione o infossamento), o del complesso areola-capezzolo (retrazione, escoriazioni), oppure la presenza di secrezioni. Ma anche in questo caso, non sempre tali manifestazioni sono associate a un tumore. Grazie alla mammografia, si evidenziano segni precoci (e ancora spesso non rilevabili alla palpazione clinica), come piccole nodularità, microcalcificazioni e distorsioni iniziali del tessuto ghiandolare.

A volte dipende dai geni

In alcune donne il rischio di sviluppare un tumore del seno può essere molto più alto. Sono quelle che scoprono di avere dei geni difettosi, come nel caso di Angelina Jolie (che si è fatta asportare mammelle, ovaio e tube per non ammalarsi), e che corrono un rischio superiore alla media di sviluppare questo tumore. E più esposta a tale pericolo anche chi ha avuto casi di tumore al seno in famiglia (madre, nonna, sorella).

Questi fattori di rischio ereditari non sono modificabili, così come non è modificabile un altro fattore di rischio significativo, ossia l’età. Esistono invece fattori di rischio “modificabili”, sui quali ogni donna può agire adottando uno stile di vita sano, ossia tenendo il peso sotto controllo, seguendo una dieta equilibrata e svolgendo attività fisica.

Esistono centri specializzati

Per eseguire in sicurezza gli esami di prevenzione e ancor di più per eventuali approfondimenti diagnostici o percorsi terapeutici è fondamentale rivolgersi a strutture specialistiche appartenenti alla rete senologica regionale. Ogni Regione italiana ha infatti selezionato alcuni centri specialistici di senologia (Breast Unit), dove lavorano equipe di medici specializzati, che garantiscono lo svolgimento di qualsiasi accertamento diagnostico e qualunque procedimento terapeutico a livelli d’eccellenza.