Auto elettriche e ibride: Italia prima in tutta Europa: quale scegliere

Una notizia positiva, almeno per quanto riguarda l’ambiente, sicuramente la scelta di molti italiani di abbandonare le auto diesel e benzina, non è solamente un fatto ambientale, ma anche di risparmio visto i prezzi dei carburanti che ogni mese continuano a salire.

L’Italia è al primo posto in Europa per i volumi di vendita dei mezzi a Gpl, metano, ibridi o elettrici puri, che hanno rappresentato l’11,7% del mercato nel 2017, in crescita del 24% sui volumi del 2016. Per quanto invece riguarda la quota di mercato, l’Italia è al secondo posto dopo la Norvegia. Gpl e metano sono le alimentazioni ‘verdi’ più diffuse in Italia, seguite da ibrido ed elettrico che però, pur crescendo la domanda, nel prossimo decennio potrebbero avere “ancora un impatto sul parco circolante molto esiguo”. E’ quanto emerge dal rapporto “L’industria automotive mondiale nel 2017 e trend 2018” realizzato dall’Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica (Anfia).

Il comparto delle auto ad alimentazione alternativa in Italia è composto da auto a benzina/gpl (6,5% del totale dei mercato), a benzina/metano (1,7%), da ibride (3,4% incluso le plug-in) e dalle elettriche (0,1%). L’Anfia rileva che “questi risultati, ottenuti grazie allo sviluppo delle motorizzazioni a gas, hanno consentito al nostro Paese di avere un parco composto da circa 927 mila auto a metano e 2,3 milioni di auto a gpl e di avere la piu’ ampia rete distributiva in Europa”. Nel 2017, in particolare, il buon andamento delle vendite di auto a gpl (+27%) ha riguardato sia i privati (+25%) che le società (+36%).

Un motore ibrido è composto da molti componenti, esiste perciò una ampia gamma di possibilità per allestire il sistema. Le architetture ibride sono quindi più di una. Schematizzare le varie architetture consente di seguire concettualmente il percorso che l’energia compie per passare dal serbatoio alle ruote. Una prima serie di trasformazioni è la seguente: Energia chimica del combustibile > trasformazione in energia meccanica a opera di un motore termico > trasformazione in energia elettrica a opera di un alternatore > accumulo dell’energia elettrica in una batteria > trasformazione in energia meccanica alle ruote a opera di un motore elettrico. Il flusso completo è schematizzato qui a lato. In questo caso il funzionamento avviene seguendo una catena logica; l’energia passa da un componente al successivo in “serie”. Questo tipo di motorizzazione è chiamato Ibrido Serie. La tecnologia di questo tipo di ibridi nasce dalla tradizione consolidata della trazione elettrica, specialmente quella ferroviaria e filotranviaria. Il veicolo ibrido serie può essere immaginato come un filobus che non prende elettricità dai conduttori aerei ma la genera a bordo. Un altro modo di schematizzare il flusso dell’energia a bordo del veicolo ibrido è quello cosiddetto Ibrido Parallelo.

Nell’ibrido parallelo esistono due vie di flusso di energia, quella elettrica e quella termica. Scorrono in maniera parallela e confluiscono sulla ruota per collaborare alla propulsione della vettura. La tecnologia dell’ibrido parallelo nasce dall’industria automobilistica che ha sviluppato e dato importanza crescente alla parte elettrica e elettronica. Il motore elettrico è in genere di minore potenza rispetto a quello termico e a volte viene semplicemente aggiunto a questo. (N.B. Il sommatore di coppia in pratica si riduce a volte a un semplice albero di trasmissione; il legame tra motore termico e alternatore è una cinghia o altro elemento che dà moto all’alternatore). A queste due principali categorie di ibridi se ne aggiungono alcune altre: Ibridi Dual Mode, in italiano bimodali: hanno i sistemi di trazione separati per cui permettono alternativamente la marcia in elettrico o la marcia con il motore termico; Ibridi Range Extender, sono veicoli elettrici a cui è aggiunto un piccolo motogeneratore elettrico. Viene acceso in caso di necessità per proseguire la marcia; Ibridi plug-in, sono ibridi in cui è previsto che, mediamente, nell’arco di una giornata, la batteria arrivi a sera priva di carica. L’allaccio alla presa di corrente per la notte ripristina la carica e la piena funzionalità ibrida per il giorno seguente.

I vantaggi dell’auto ibrida Nell’ibrido serie il motore termico non muove le ruote, ma produce elettricità. Il suo funzionamento si può ottimizzare, svincolandolo dalle esigenze della marcia per farlo funzionare sempre nelle condizioni ottimali. Ad esempio la marcia a bassa velocità, tipica del traffico cittadino, costringe il motore termico di un’auto tradizionale a funzionare a rendimento bassissimo. Invece l’ibrido serie, anche in queste circostanze, genera elettricità con il massimo rendimento e ne utilizza, con il motore elettrico, solo la stretta quantità necessaria. Inoltre in discesa e in frenata si recupera gran parte dell’energia cinetica del veicolo, e quando è necessario, è possibile viaggiare in modalità “solo elettrico”. Il grande vantaggio dell’ibrido parallelo è di poter disporre all’occorrenza di un surplus di potenza fornito dal motore elettrico. Questo è molto importante, non solo per disporre di maggiore potenza, ma per evitare al motore termico le fasi di maggior consumo e maggiore inquinamento. Per esempio nella manovra di “schiacciamento” del pedale dell’acceleratore per chiedere più accelerazione in un’auto tradizionale si ottiene una grossa fumata allo scarico, sintomo della difficoltà del motore termico a soddisfare la richiesta, mentre in un’auto ibrida parallela il motore elettrico interviene per soddisfare gran parte della richiesta. Il risultato è meno fumo, meno consumo, più brillantezza delle prestazioni.

Start/stop: il motore (termico) si spegne da solo al semaforo con il cambio in folle e si rimette in moto all’innesto di una marcia. Questa funzione è ormai diffusa in molti modelli in vendita. Inizio marcia in elettrico: nei primi secondi di marcia partendo da fermo il motore termico rimane spento; si avvia solo ad una certa velocità (circa 40 km/h) e prende il ruolo del motore elettrico. Si avvale in genere di un cambio automatico. Frenata a recupero di energia: nei veicoli tradizionali l’energia cinetica (di movimento) della vettura, durante la frenata, viene dissipata in calore dai freni. Questo è uno spreco: alla frenata segue una accelerata – con consumo di energia – per riconquistare una velocità di marcia ragionevole. Nei veicoli ibridi l’energia cinetica è recuperata in gran parte sotto forma di energia elettrica nella batteria. Inoltre i freni sono meno sollecitati e durano di più. Extra coppia in accelerazione: l’azione del motore elettrico nell’ibrido parallelo si aggiunge a quello termico determinando prestazioni più brillanti, riduzione di consumi e inquinamento. Marcia in solo elettrico: è una funzionalità preziosa nei centri storici. L’autonomia di funzionamento varia da modello a modello ed è legata alla quantità di batterie a bordo. Marcia a 4 ruote motrici: in una vettura tradizionale viene motorizzato l’assale libero utilizzando un motore elettrico. Si ottiene un ibrido parallelo con il vantaggio ulteriore di avere una trazione a 4 ruote motrici con piccole modifiche apportate al modello tradizionale.

Come in un vecchio film in cui i protagonisti nell’abitacolo dell’auto sono palesemente in un viaggio solo immaginario, con poveri effetti speciali a indicare il movimento del veicolo, così tra le pareti di un laboratorio di omologazione per automobili, sospese su rulli, si svolge il test che dovrebbe certificare il comportamento del mezzo su strada: in condizioni molto lontane dalla realtà. Che i test fossero inadeguati e in certi casi falsati è cosa risaputa, soprattutto dopo lo scandalo del Dieselgate.

Finora però si è parlato di veicoli tradizionali, a diesel o benzina, mentre il problema riguarda anche i motori elettrici. Lo rivela questo test, che abbiamo realizzato in collaborazione con l’Automobile Club svizzero, su tre modelli di auto con solo motore elettrico: nessun veicolo ha un’autonomia che arriva a toccare il 60% di quanto dichiarato dalle case automobilistiche. Meno affidabili del previsto Le condizioni del test sono severe, come dovrebbero essere le prove di omologazione ufficiali.

Dopo aver scaricato per intero la batteria dei veicoli, abbiamo fatto il pieno di energia (con il sistema di ricarica domestica da 2,3 kW fornito dal produttore). Poi le auto sono state guidate in strada su un percorso misto di circa 40 km. A bordo c’erano, oltre al guidatore, un carico da 155 kg equivalente al trasporto di un passeggero, due bambini, più un bagaglio. Il climatizzatore era acceso su 22°C, mentre all’esterno il termometro segnava 10°C. La prova è stata eseguita tre volte consecutive, facendo ruotare i piloti, in modo da ottenere una media che annulli eventuali differenze di stile di guida.

Dopo i tre percorsi (per un totale di 124,5 km per veicolo), le auto sono state ricaricate al massimo e si è misurata l’energia necessaria per fare il pieno: abbiamo così calcolato il consumo medio di ogni auto e, sulla base della capacità della batteria, l’autonomia effettiva. Tutte le auto hanno mostrato un’autonomia reale molto più bassa del dichiarato. Nelle condizioni del test, Leaf può percorrere un massimo di 144 km contro i 250 km dichiarati; Ampera-e 304 km invece di 520; Zoe 232 km al posto di 400. Queste auto erano state omologate con il ciclo NEDC, un test su rulli (non su strada) poco realistico, che non prevede l’accensione del climatizzatore né la presenza di carico a bordo: insomma un’auto in vetrina, non su strada.

La nuova procedura di omologazione, entrata in vigore da settembre, dovrebbe migliorare l’affidabilità dei test. Un altro dato falsato è quello sui consumi. Tra i consumi dichiarati e quelli misurati nel nostro test ci sono forti differenze. Come si può vedere nel riquadro a fianco, i consumi testati sono sempre più alti di quanto dichiarato dalla casa automobilistica (problema che riguarda sempre anche le automobili a benzino o diesel). Ciò nonostante, considerando un costo medio dell’energia elettrica di circa 0,22 €/kWh, si può stimare una spesa di circa 5 euro per percorrere 100 km con un’auto elettrica: un consumo decisamente più economico rispetto ai veicoli a benzina o diesel, che nelle stesse condizioni superano i 10 euro per percorrere la stessa distanza. Infine, c’è il problema dei tempi di ricarica: ci vogliono diverse ore se pensiamo di fare il pieno di elettricità a casa (quindi a 230 V, collegati a un impianto domestico da 2,3 kW). Il tempo di ricarica dipende anche dalla capacità della batteria dell’auto (più è grande, più tempo ci vuole per riempirla). Installando nel box sistemi di ricarica a potenza maggiore si può risparmiare tempo, ma è necessario sostenere costi maggiori per l’impianto potenziato. Durante il rifornimento si disperde in media un 5-10% di energia.

Altri motivi per cui non decollano Da un’indagine condotta dall’Energy&Strategy Group del Politecnico di Milano, risulta che nel 2016 sono state vendute nel mondo circa 504.000 vetture senza combustibile, con in vetta Cina e Stati Uniti. L’Italia pesa solo per circa l’1% del mercato europeo: nel 2016 da noi sono state vendute circa 1.400 auto (un po’ meno che nel 2015), cioè circa lo 0,1% del mercato delle auto italiano. Uno dei principali motivi che frena l’ascesa dell’elettrico è il prezzo d’acquisto, ben più alto rispetto a vetture analoghe con motore a combustione: nella categoria “compatte”, quelle che abbiamo testato, si tratta di 25mila euro contro 35mila euro. In più l’Italia è uno degli ultimi Paesi europei per quanto riguarda l’incentivazione all’acquisto di auto elettriche. Cosa che vanifica i vantaggi dell’elettrico rispetto all’auto a combustione: in uno scenario di utilizzo di 10-15.000 km all’anno, l’auto elettrica costa di più di quella a combustione

C’è anche il rischio di rimanere con l’auto scarica senza riuscire a trovare una colonnina per rifornirla. In Italia, a differenza di altri Paesi europei, la diffusione di postazioni di ricarica non è certo capillare. Dall’indagine del Politecnico risulta che al mondo, a fi ne 2016, c’erano 1,45 milioni di punti di ricarica (+81% rispetto al 2015), di cui però solo il 13% sono postazioni pubbliche, mentre l’87% sono private (cioè quelle che i proprietari di auto elettriche mettono in casa propria per ricaricare la propria auto elettrica). I punti di ricarica pubblici in Italia sono in crescita (circa 1.750, ovvero +28% rispetto al 2015), ma sono meno del 3% di quelli europei. Il problema per chi vuole fare un viaggio è che sono concentrati nelle principali città, per il resto il servizio non è capillare (per scoprirlo basta guardare la mappatura su www. goelectricstations.it).

In più solo una minima parte delle colonnine pubbliche è ad alta potenza (ricarica rapida di 30-60 minuti). Se si compra un’auto elettrica per usarla in città, invece, anche il modello con l’autonomia minore (Nissan Leaf, 144 km) è sufficiente. Di certo è più problematico fare un viaggio, soprattutto fi no a quando non aumenta il numero delle postazioni di ricarica pubbliche. Non ci sono però solo aspetti negativi, rispetto ai veicoli a combustibile le elettriche hanno alcuni indubbi vantaggi. Per esempio la possibilità di circolare anche in zone a traffico limitato, di essere esenti dai blocchi del traffico, di avere sconti o esenzioni per il parcheggio su strisce blu. Diverse Regioni prevedono l’esenzione del bollo per i primi anni e sconti sull’Rcauto. Poi c’è l’impegno ecologico di guidare un’auto che non emette inquinanti almeno durante la guida, anche se l’energia con cui le si ricarica ha un impatto sulla produzione di CO2. Un recente studio di Transport&Environment conferma che le emissioni di CO2 dell’elettrico sono molto più basse, anche considerando la produzione delle batterie e il “mix energetico” (cioè quanta CO2 è emessa da ogni Paese per produrre elettricità). Resta il problema dello smaltimento delle batterie.

Benzina sintetica, la grande rivoluzione marchiata Audi

In un mondo sempre più inquinato automobili e Fabbriche, l’ecosostenibilità ormai entrata a far parte del nostro modo di pensare. Se non si vuole distruggere del tutto quel poco di aria buona che ancora ci rimane, le aziende produttrici mobili devono assolutamente adeguarsi fabbricando nuovi modelli di auto sostenibili, ed è per questo che la grande azienda Audi ha deciso investire su un progetto molto ambizioso cercando di riprodurre un tipo di benzina sintetica.

Oggi vogliamo parlarvi di una novità nonchè di  una innovazione piuttosto interessante non solo per l’ecologia, ma anche per le prestazioni e per i costi. Stiamo parlando della benzina sintetica, della quale alcuni forse ne hanno già sentito parlare mentre altri ancora no. I vantaggi che ne deriveranno saranno davvero innumerevoli. Proprio con l’arrivo del biometano e del diesel pulito sembra sia in arrivo anche la benzina sintetica che è stata inventata ma farà la sua comparsa a breve. Questa novità è stata annunciata direttamente dalla casa automobilistica Audi che risulta essere quella che durante gli ultimi anni ha più investito sui motori a benzina e su quelli diesel, Ma adesso è pronta a dare una svolta decidendo di puntare sui carburanti ecosostenibili. L’Audi dunque ha deciso di mettersi all’avanguardia e per questo motivo ha pensato alla benzina sintetica con un vantaggio non soltanto a livello di costi, ma anche di impatto ambientale.

Ma di cosa si tratta? Si tratta di un carburante che viene ricavata direttamente dalle sostanze di scarto come sono ad esempio le biomasse ovvero dai rifiuti biodegradabili dell’Agricoltura. Le aspettative riguardo questo tipo di benzina sono piuttosto alte. All’interno di questa benzina sintetica non sarà presente lo zolfo e il benzolo e questo fa sì che ci siano livelli di emissione nell’atmosfera molto bassi. Non finisce qui perché la casa automobilistica Audi sta anche collaborando con Global bioenergies, Ovvero la società che  ricava il suo gasolio dagli scarti di agricoltura proveniente dalla Francia.

Quindi a breve la casa automobilistica ha fatto sapere di voler utilizzare soltanto l’idrogeno e l’anidride carbonica per poter ottenere questa benzina sintetica che non si sa se potrà essere utilizzata anche per le autovetture che già esistono o se sono necessarie  delle modifiche. Si tratta ad ogni modo di un progetto piuttosto ambizioso e proprio mentre molte altre case automobilistiche Stanno pensando a produrre dei veicoli elettrici, l’Audi è impegnata in questo progetto davvero innovativo.

L’Audi si pone dunque un solo obiettivo ovvero quello di testare lo sviluppo dei motori con un elevato rapporto di compressione, migliorando l’efficienza complessiva. Non è di certo la prima volta che questa casa automobilistica tedesca ha mostrato interesse per l’innovazione e la ricerca, ed infatti è dal 2014 che  un team è stato incaricato di portare avanti degli Studi per creare un veicolo rispettoso e quanto più possibile dell’ambiente cercando di lavorare a trovare una soluzione per i diesel, che si basa su una tecnologia che utilizza gli elettroliti e l’anidride carbonica, presente nell’aria per potere realizzare un carburante pulito. E voi avete mai sentito parlare di benzina sintetica? Cosa ne pensate?

Biometano si concretizza con Panda, grande rivoluzione totale

Sino a fine marzo la Fiat Panda è in promozione, con il contributo della Casa e dei concessionari aderenti. Per la precisione, viene proposta la Panda Pop 1.2 da 69 CV Euro 6 a benzina a un prezzo promo di 8.950 euro, IPT e contributo PFU (smaltimento pneumatici) esclusi. Attenzione: l’offerta è valida in caso di permuta (la vettura deve essere di proprietà dell’intestatario da almeno 3 mesi) o rottamazione. In basso esaminiamo pro e contro di un esempio di finanziamento coi parametri che possono cambiare in base alle esigenze del consumatore: parliamo di anticipo, rate, Valore Garantito Futuro pari alla maxirata finale. Salvo approvazione FCA Bank.

Da un anno una Fiat Panda viaggia alimentata esclusivamente con biometano prodotto dall’impianto per la depurazione delle acque reflue del Gruppo CAP a Bresso-Niguarda (Milano). Nel marzo 2017 l’auto partì dal Mirafiori Motor Village di Torino per partecipare al progetto #BioMetaNow, che vede come protagonisti FCA e il Gruppo CAP, insieme con LifeGate, il network che opera in Italia per lo sviluppo sostenibile.

Da allora la Panda Natural Power ha percorso migliaia di chilometri, sempre alimentata con il biometano prodotto da acque reflue senza evidenziare controindicazioni né effetti sul motore, al pari del gas prodotto da rifiuti agricoli e solidi urbani. La Panda #BioMetaNow in questi mesi è stata regolarmente verificata attraverso approfonditi test effettuati presso il Centro Ricerche di FCA per confermare che l’uso del biometano non comporta per il motore alcuna differenza rispetto al gas naturale di origine fossile.

La prima prova è stato il controllo delle emissioni allo scarico sul banco a rulli, per valutare l’efficienza del catalizzatore; la seconda è stato il controllo del motore per esaminarne le prestazioni.
Questo primo anno di sperimentazione – spiega FCA – cade negli stessi giorni in cui il Ministero dello sviluppo economico ha approvato il decreto interministeriale per la promozione dell’uso del biometano e degli altri biocarburanti avanzati nel settore dei trasporti. Con questo decreto il nostro Paese – già all’avanguardia in Europa – si pone l’obiettivo di raggiungere nel 2020 il 10% di consumo di energie rinnovabili nel settore dei trasporti.

Che cos’è il biometano? Il termine Biometano si riferisce a un biogas che ha subito un processo di raffinazione per arrivare ad una concentrazione di metano del 95% ed è utilizzato come biocombustibile per veicoli a motore al pari del gas naturale (o metano fossile). Il biogas è prodotto attraverso la decomposizione biologica della sostanza organica in assenza di ossigeno in un processo conosciuto come Digestione Anaerobica (DA). La DA può avvenire in ambiente controllato (digestore) con una produzione di biogas con percentuale di metano pari al 55-65%, o anche nelle discariche in seguito alla decomposizione dei rifiuti: in questo caso il biogas o gas da discarica contiene una percentuale di metano pari al 45%.

Il biogas grezzo può essere bruciato per produrre calore o elettricità dopo aver subito minimi trattamenti di filtrazione e depurazione. Produrre il Biometano Le principali materie prime utilizzabili nel processo di DA sono: • Refluo di fogna • Reflui zootecnici • Rifiuti alimentari di origine commerciale o domestica (FORSU1 ) • Rifiuti da giardinaggio e gestione del verde • Produzioni agricole dedicate Anche colture specifiche come gli erbai da foraggio o il silomais2 possono essere convenientemente utilizzate per il processo di DA. Tuttavia, la materia prima più comune in Europa è il refluo di fogna, utilizzato in un trattamento di DA integrativo del processo di depurazione. In Gran Bretagna circa il 75% dei reflui fognari è trattato in questo modo, ed il gas che ne deriva è utilizzato per produrre calore ed elettricità. A Lille, in Francia, il sistema fognario cittadino è fonte di materia prima per produrre biogas che è successivamente raffinato per essere utilizzato come combustibili per gli autobus. Le altre fonti di materia prima citate non sono integrate in un sistema di raccolta così capillare come per i reflui civili e quindi è necessario affrontare le problematiche relative al loro collettamento di volta in volta. I rifiuti dell’agricoltura o le colture dedicare possono essere trattati in loco in piccoli digestori, come accade in Germania o in Italia, ma il processo è più efficace se si concentrano reflui e residui agricoli provenienti da più fonti in un unico impianto consortile. Per utilizzare il rifiuto alimentare (FORSU) è basilare separarlo dalle altre tipologie di rifiuto; per questo è conveniente realizzare un impianto di DA integrato in un sito di trattamento dei rifiuti.

Il biometano viene prodotto attraverso un processo costituito da 3 fasi: • Pre-trattamento – questa fase comprende qualsiasi tecnica di selezione, triturazione e miscelazione della materia prima (rifiuto organico) per renderla più adatta possibile al digestore; • Digestione – è il processo principale durante il quale la sostanza organica è trasformata in biogas e digestato che è il residuo finale del processo; • Raffinazione – questo è il processo in cui il biogas grezzo è trasformato in un combustibile ad alto contenuto di metano (≥ 95%) eliminando la CO2 ed altre impurità e contaminanti. Il processo di digestione dura circa 15-20 giorni a seconda della materia prima e della tecnologia utilizzata.[/read]