Cozze vive contaminate da infezione: allarme in Italia e ulteriori informazioni

Nel corso della settimana in tutta Italia È scattato l’allarme riguardante le cozze refrigerate. Stando hai dati delle ultime analisi le cozze sono state contaminate dal batterio dell’ Escherichia coli.

Abbinare l’allarme in tutto il paese è stato il Rasff, lente che ha il compito di controllare la sicurezza del cibo in tutto il livello europeo.

Allarme preoccupanti per molti supermercati e pescherie: cozze vive refrigerate contaminate da Escherichia Coli oltre i limiti (fino a 1300 MPN / 100 g).

L’allarme è stato divulgato dal Rasff, il sistema di allerta europeo rapido per la sicurezza alimentare, e riguarda tutta Italia, da Nord a Sud.

Le attuali cozze vive e contaminate, infatti, sono state già divulgate su tutto il territorio italiano.

L’Escherichia Coli è un batterio davvero molto insidioso, presente in acque inquinate da feci e che può essere devastante per l’apparato digerente e provocare nausea, fortissimi crampi addominali, diarrea e vomito.

A rendere ancor più spaventoso l’allarme, che risale 13.09.2018, dettagli di notifica – 2018.2575 del 13.09.2018, c’è il fatto che non si conoscono i lotti con cozze contaminate perché riguardano non soltanto la Grande distribuzione ma pescherie e mercati di Italia ed Austria. Il ritiro delle cozze vive refrigerate contaminate è già stato avviato in tutta Italia: si tratta di una misura cautelare a tutela della salute dei consumatori.

Il Sistema di allerta invita tutti a prestare la massima attenzione e a non consumare le cozze vive senza prima sottoporle al controllo dal Servizio igiene degli alimenti e nutrizione della Asl locale.

Il rischio, evidenzia Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, rilanciando le raccomandazioni del Servizio di Igiene degli Allevamenti e delle produzioni zootecniche, è che i mitili interessati dal richiamo possano esser commercializzati al di fuori dei canali legali, mettendo a grave rischio la salute dei consumatori. Mentre i molluschi acquistati esclusivamente attraverso “canali autorizzati all’interno di sacchetti con etichette che ne riportano la provenienza, possono essere acquistati in sicurezza”.

La depurazione è una tecnica applicata in molte parti del mondo per la rimozione di batteri dai molluschi bivalvi, quando questi sono lievemente o moderatamente contaminati. Viene attuata mediante immersione in vasche, contenenti acqua di mare pulita, per un periodo di tempo che varia da alcune ore ad alcuni giorni in modo che i molluschi bivalvi possano espletare la loro naturale funzione filtratrice.

È normalmente effettuata perché richiesta da normative nazionali, regionali o locali, oppure può essere applicata a discrezione dell’industria produttrice per proteggere i consumatori, dimostrare scrupolosità o soddisfare le richieste di legge per l’esportazione.

In Europa esiste una lunga tradizione nell’uso della depurazione dei molluschi bivalvi per risolvere i problemi causati dalla contaminazione fecale provocata dalla forte antropizzazione delle zone costiere. Sebbene anche negli USA vi sia una lunga tradizione di utilizzo della depurazione, la grande disponibilità di acque costiere relativamente incontaminate ha consentito di rivolgere una maggiore attenzione al processo di raccolta dei molluschi bivalvi piuttosto che alla rimozione dei contaminanti dopo la raccolta. La depurazione è praticata in maniera estensiva anche in Australia e Giappone, mentre ha una diffusione limitata in Nuova Zelanda. In generale, in molte parti del mondo il mercato dei molluschi bivalvi non è soggetto a specifici parametri igienici di legge e così in queste aree la depurazione non è praticata.

I principali fattori che intervengono sull’efficacia della depurazione sono la progettazione del sistema di depurazione stesso, la qualità dell’acqua di mare utilizzata, il modo in cui il sistema lavora ed il mantenimento della corretta condizione fisiologica dei molluschi bivalvi per un lasso di tempo adeguato.

Sebbene il processo di depurazione sia basato sulla conservazione dello status fisiologico dei molluschi bivalvi, al fine di mantenere inalterata la loro capacità filtrante, la massima efficacia della depurazione, specialmente dai virus, avviene entro limiti ambientali più ristretti di quelli entro i quali tale attività fisiologica è garantita. Infatti i limiti per la temperatura e l’ossigeno disciolto riportati in letteratura o in alcuni regolamenti possono non essere quelli ottimali per l’eliminazione dei patogeni. Per esempio è riconosciuto che il processo di depurazione dai virus dell’Ostrica giapponese (Crassostrea gigas) è molto più efficace a 18°C piuttosto che a 8°C.

La depurazione rimuove solo livelli bassi o moderati di contaminazione microbica, di conseguenza non può essere utilizzata per molluschi bivalvi fortemente contaminati; inoltre, non tutti i batteri o i virus possono essere rimossi con successo dal processo di depurazione.

In generale, l’approccio migliore per la produzione di molluschi bivalvi sicuri è quello di allevarli in zone dove l’acqua non è soggetta a contaminazione fecale (aree approvate nel Sistema degli Stati Uniti e zone di classe A nella UE). L’applicazione del processo di depurazione, insieme alla raccolta da aree pulite, garantisce che il rischio di malattie da contaminanti di origine fecale sia il più basso possibile e sia raggiungibile senza una completa cottura del mollusco.

Altri pericoli da considerare durante la produzione di molluschi bivalvi sicuri sono rappresentati dai vibrioni patogeni naturalmente presenti, le biotossine algali ed i contaminanti chimici come i metalli pesanti ed i prodotti chimici organici. Alcune informazioni generali sulla portata e la natura della depurazione realizzata in alcuni paesi sono sintetizzate.

PERCHE’ DEPURARE?

Su base mondiale i principali rischi legati al consumo di molluschi bivalvi provengono dalla contaminazione microbiologica delle acque in cui crescono, in particolare quando questi sono destinati ad essere consumati crudi. Infatti, a causa della loro attività filtrante, i molluschi bivalvi concentrano gli agenti inquinanti ad un livello molto più elevato dell’ambiente circostante.

Questo determinerà la necessità dei processi di depurazione al fine di rimuovere o ridurre i rischi di contaminazione prima del consumo. Molti degli agenti patogeni, quali i virus gastrointestinali o i virus epatici ed i batteri che causano il tifo, sono di solito associati alla contaminazione da liquami umani. Altri, come i batteri che causano gastroenteriti (Salmonelle non-tifoidee e Campylobacter), possono essere associati sia alle feci degli animali che alle acque reflue. Queste ultime possono contaminare le aree di produzione dei molluschi bivalvi con il dilavamento della terra durante i periodi di pioggia.

Altri rischi sono associati alla naturale presenza di organismi patogeni nell’ambiente marino; si possono ricordare le infezioni causate da batteri patogeni del genere Vibrio e le varie forme di avvelenamento provocate dalle biotossine prodotte da alcune alghe unicellulari, come ad esempio l’avvelenamento paralitico dei molluschi (paralytic shellfish poisoning PSP), quello neurotossico dei molluschi (neurotoxic shellfish poisoning NSP), quello amnesico dei molluschi (amnesic shellfish poisoning ASP) e quello diarroico dei molluschi (diarrhetic shellfish poisoning DSP).

In certe zone i contaminanti chimici quali i metalli pesanti, i pesticidi, gli organoclorurati, le sostanze chimiche di derivazione del petrolio, costituiscono un potenziale pericolo. Tuttavia i report epidemiologici e la letteratura scientifica non riportano evidenze che la contaminazione dei molluschi bivalvi con sostanze chimiche costituisca un problema significativo per il loro consumo.

L’identificazione ed il monitoraggio delle zone di produzione rappresentano un passaggio molto importante per identificare e controllare tali pericoli. Gli indicatori batterici fecali, come i coliformi fecali o l’Escherichia coli sono usati per valutare il rischio della presenza di agenti patogeni batterici e virali. L’uso di E. coli è sempre più diffuso in quanto è considerato un indicatore preciso di contaminazione fecale. Il monitoraggio per stabilire il rischio associato alla presenza delle biotossine può essere basato sulla valutazione della presenza di alghe produttrici di tossine, sulla stima diretta delle biotossine nei molluschi bivalvi, od entrambe le cose. Il monitoraggio dei molluschi bivalvi può essere effettuato anche per i contaminanti chimici.

Il rischio di malattie batteriche derivanti dal consumo di molluschi bivalvi raccolti da acque soggette a bassi livelli di contaminazione microbiologica può essere ridotto con la stabulazione in una zona meno contaminata o con la depurazione in vasche di acqua di mare pulita, o con una combinazione di entrambi i metodi. La depurazione da sola ha un effetto limitato sulla riduzione del livello di virus e di vibrioni marini nei molluschi bivalvi e non è adatta per quelli raccolti da zone contaminate in maniera più significativa o da zone soggette a contaminazione da idrocarburi, da metalli pesanti, da pesticidi o da biotossine. Per il modo in cui è attualmente praticata la depurazione, l’efficacia del processo di rimozione di virus e vibrioni marini è limitata. La tabella 2.1 mostra i principali rischi associati con il consumo di molluschi bivalvi.

MALATTIE ASSOCIATE AL CONSUMO DI MOLLUSCHI BIVALVI

Le gastroenteriti associate al consumo dei molluschi bivalvi sono conosciute da secoli. I batteri implicati nelle malattie da molluschi bivalvi sono riportati nella tabella 2.2. Molti di questi sono legati alla contaminazione fecale degli impianti di molluschicoltura. In molti paesi industrializzati delle aree temperate la causa di gastroenterite più comune è il Norovirus, sebbene negli Stati Uniti d’America si siano verificate numerose infezioni da vibrioni patogeni, tra cui V. parahaemolyticus e V. vulnificus.

I Norovirus causano un’infezione autolimitante che ha un periodo di incubazione di 12-48 ore (in media circa 36 ore), che normalmente dura 12-60 ore (in media circa 48 ore) e la cui guarigione di solito avviene senza conseguenze di lunga durata o permanenti. I sintomi principali sono: nausea, vomito, crampi addominali e diarrea. Sebbene la gastroenterite virale sia generalmente una malattia lieve, con un tasso di mortalità di circa lo 0,1 % (i bambini e gli anziani sono i più colpiti), i numerosi casi che si verificano ogni anno rappresentano un notevole onere finanziario. La maggior parte dei casi sono dovuti al contagio umano diretto mentre la natura dei sistemi di segnalazione della malattia rende difficile stimare quale percentuale possa essere dovuta al consumo di molluschi bivalvi. Non è inoltre chiaro in che misura i casi secondari derivino da persone infettate attraverso il consumo dei molluschi bivalvi.

In alcuni paesi, l’epatite A è ancora un problema significativo. Per esempio, il consumo dei molluschi bivalvi è stato stimato come la causa del 70 % dei casi di questa malattia in Italia. La cottura delle vongole nei ristoranti o a casa è solo parzialmente efficace nel ridurre il rischio di malattia. Il periodo di incubazione è tra le 2 e le 6 settimane (in media circa 4 settimane) e gli effetti possono durare per diversi mesi. I principali sintomi sono febbre, cefalea, nausea, vomito, diarrea, dolore addominale ed ittero. Anche se gli effetti sono più gravi e duraturi di quanto non avvenga con le infezioni da Norovirus, il tasso di mortalità è ancora relativamente basso, circa lo 0,2 %.

Le specie di Salmonella che causano tifo e paratifo contaminano i molluschi bivalvi tramite le feci umane, comprese le acque reflue, quando nella popolazione locale vi sono dei malati o dei portatori sani. Le altre specie che causano gastroenterite sono associate sia a feci umane che animali. Le infezioni da Salmonella spp. associate al consumo di molluschi bivalvi hanno rappresentato per anni un problema significativo in Europa e Nord America, ma ora si verificano raramente grazie al miglioramento della sanità pubblica e grazie all’efficacia degli attuali controlli igienici sulla produzione dei molluschi bivalvi. In Europa e in America le gastroenteriti da Salmonella spp. associate al consumo di molluschi bivalvi si verificano ancora in varie occasioni, soprattutto quando si pescano i molluschi bivalvi per l’autoconsumo o quando questi vengono commercializzati senza rispettare tutti i controlli sanitari.

È probabile che questi batteri causino ancora un elevato numero di focolai in paesi subtropicali e tropicali, ma i sistemi di segnalazione della malattia in questi paesi tendono ad essere incompleti rendendo difficile da accertare il reale livello del problema. Sono state riferite infezioni intestinali causate da Shigella spp. e Campylobacter spp. associate al consumo dei molluschi bivalvi negli Stati Uniti d’America ma non in Europa; la ragione di questa differenza non è al momento nota.

Diverse specie di Vibrio patogeni causano malattia associata al consumo di molluschi bivalvi. I due più importanti in termini di numero di infezioni e/o vittime sono il V. parahaemolyticus e il V. vulnificus. La maggior parte di questi vibrioni vivono naturalmente negli ambienti costieri e degli estuari e non sono associati alla contaminazione delle acque reflue. Invece, i ceppi di Vibrio cholerae che causano il colera epidemico derivano principalmente da contaminazione fecale umana. L’abbattimento termico dei molluschi bivalvi immediatamente dopo la raccolta ed il mantenimento alle basse temperature (inferiori o uguali a 10°C) si sono dimostrati metodi importanti nella prevenzione della moltiplicazione dei vibrioni patogeni. Nelle aree del mondo soggette a tali problemi, durante i mesi estivi, quando il rischio è più elevato, i controlli possono essere effettuati alla raccolta, al trasporto post-raccolta o al trattamento post-raccolta (pastorizzazione, trattamento con alta pressione, congelamento, irradiazione).
Il Vibrio parahaemolyticus causa gastroenteriti; in Giappone per molti anni è stato la causa più comune di intossicazione alimentare associata al consumo di pesce crudo e di frutti di mare.

La malattia è stata anche segnalata in altre parti dell’Asia e degli Stati Uniti d’America, in Canada, in Africa e nell’Europa meridionale, anche se casi di malattia per consumo di prodotti importati possono verificarsi ovunque. Al di fuori del Giappone, le infezioni sono spesso associate al consumo di ostriche crude, poco cotte o per cross-contaminazione. I sintomi predominanti sono nausea, vomito, diarrea, crampi addominali e febbre. Il periodo di incubazione è compreso tra le 4 e le 96 ore (con una media di 15 ore) e la durata media della malattia è di 2,5 giorni. Non tutti i ceppi di V. parahaemolyticus sono patogeni e la maggior parte di quelli trovati nell’ambiente e nei molluschi bivalvi non causano gastroenteriti. La patogenicità di un ceppo dipende dalla presenza di specifici geni, quindi sono necessari dei test molecolari specifici per confermare che un ceppo isolato dai molluschi bivalvi possa essere in grado di causare la malattia.

Il V. vulnificus può causare infezioni delle ferite, se dei tagli aperti entrano in contatto con acqua di mare o con superfici contaminate con il microrganismo. Può anche causare una forma setticemica primaria entrando attraverso il tratto intestinale, in genere dopo aver mangiato ostriche contaminate. Entrambe le infezioni, da ferita e da setticemia, possono essere fatali, con un tasso di mortalità del 7-25 % per il primo caso e di circa il 50 % nel secondo caso. La setticemia da V. vulnificus è di solito associata a malattie preesistenti come diabete, malattie epatiche, renali o immunitarie. Il periodo di incubazione può variare da 7 ore a diversi giorni e senza un rapido trattamento specifico la morte può verificarsi entro poche ore dalla prima manifestazione dei sintomi. La maggior parte dei casi e dei decessi associati a questo organismo sono stati segnalati nella Costa del Golfo degli Stati Uniti d’America, ma ci sono state segnalazioni di infezioni anche in Asia. Si sospetta che i ceppi differiscano per la loro capacità di causare malattia, ma ciò non è ancora stato definitivamente provato.

Le infezioni da ferite associate con la gestione dei pesci (tra cui le anguille) sono state riscontrate anche nel nord Europa e in Israele, dove però non è stato segnalato alcun caso di setticemia primaria derivata dal consumo di ostriche.
I ceppi di V. cholerae variano notevolmente nelle loro caratteristiche. Molto probabilmente alcuni ceppi non possono causare infezioni gastrointestinali nell’uomo, mentre altri sono in grado di causare una grave diarrea acquosa, il colera, che può essere fatale e trasformarsi in epidemia o pandemia. Altri ceppi ancora possono causare una forma di gastroenterite più simile a quella provocata da Salmonella (di solito singoli casi o focolai di piccole dimensioni). I ceppi (enterotossigeni V. cholerae O1) associati al colera di solito sono trasmessi per contaminazione fecale di acqua potabile o di alimenti, questi ultimi spesso inquinati attraverso l’acqua di risciacquo, ecc. Sono stati riportati casi di trasmissione tramite consumo di molluschi bivalvi crudi o poco cotti. Gli altri ceppi patogeni (V. cholerae non-O1) possono trovarsi naturalmente nell’ambiente marino e sono stati segnalati negli Stati Uniti d’America.

Le malattie gastrointestinali da Shigella spp. e Campylobacter spp. associate al consumo di molluschi bivalvi sono state segnalate negli Stati Uniti d’America ma non in altri paesi. Questo può essere dovuto alla diversa efficacia dei test diagnostici e dei sistemi di report epidemiologici piuttosto che a reali differenze geografiche nell’insorgenza di tali infezioni.
In aggiunta ai microorganismi confermati come causa d’infezioni associate al consumo di molluschi bivalvi, altri agenti patogeni per l’uomo sono stati ritrovati al loro interno, ma non vi sono attualmente prove valide che dimostrino che questi possano causare la malattia attraverso il consumo dei molluschi bivalvi (Cryptosporidium, Giardia e microsporidi).
L’infezione da Listeria monocytogenes da consumo di molluschi bivalvi è finora stata legata solo al prodotto affumicato (mitili in particolare) e non al prodotto consumato vivo o cotto.

REQUISITI NORMATIVI

L’attuale politica internazionale sulla sicurezza alimentare si basa sul controllo degli alimenti tramite l’analisi del rischio. L’analisi del rischio comprende tre elementi:
• La valutazione del rischio, che è la valutazione scientifica degli effetti sulla salute noti o potenziali derivanti dall’esposizione umana ai pericoli di origine alimentare;
• La gestione del rischio, che è il processo mediante il quale si stima il rischio e si sviluppano le strategie più adeguate per governarlo;
• La comunicazione del rischio, che è un processo interattivo di scambio d’informazioni e pareri sul rischio tra i responsabili della valutazione del rischio, i gestori del rischio, e le altre parti interessate. In alcuni sistemi legislativi l’obbligo della depurazione o di altri mezzi di riduzione della contaminazione microbica post-raccolta è dettata dalla classificazione della zona di raccolta. Tale classificazione è eseguita sulla base del grado di contaminazione fecale (usando dei batteri indicatori) in un numero di campioni prelevati nel corso di un lungo periodo di tempo (un anno o più).
Nell’Unione europea, i requisiti sono contenuti nel regolamento CE N. 853/2004 che stabilisce le norme specifiche di igiene per gli alimenti di origine animale, mentre la classificazione delle zone di raccolta è specificato nel regolamento CE N. 854/2004 recante norme specifiche per l’organizzazione dei controlli ufficiali sui prodotti di origine animale destinati al consumo umano. Questa classificazione è basata sui livelli di E. coli in campioni di molluschi bivalvi.

Le normative comunitarie contengono poche disposizioni dettagliate per quanto concerne il modo in cui la depurazione deve essere intrapresa. L’obbligo principale relativo al sistema stesso è che: “L’esercizio del sistema di depurazione deve consentire ai molluschi bivalvi vivi di riprendere e mantenere rapidamente l’attività filtrante di alimentazione per eliminare la contaminazione residua, non ricontaminarsi e mantenere la propria vitalità in condizioni idonee dopo la depurazione per il confezionamento, lo stoccaggio ed il trasporto prima di essere immessi sul mercato”.

Inoltre, si stabilisce che i molluschi bivalvi devono essere depurati ininterrottamente per un periodo sufficiente ad ottenere la conformità del prodotto finale allo standard microbiologico (E. coli < 230/100 g; assenza di Salmonella in 25 g). Gli stati membri dell’UE tendono a chiarire il modo in cui i principi di depurazione e gli altri criteri generali devono essere raggiunti tramite l’applicazione della legislazione nazionale ed il controllo delle procedure.
Negli Stati Uniti d’America, i requisiti per la depurazione sono indicati nel capitolo XV del decreto del programma nazionale di sanità dei molluschi bivalvi (National Shellfish Sanitation Program NSSP). Spetta ai singoli Stati dell’Unione attuare la legislazione seguendo le prescrizioni del decreto se i propri produttori vogliono commercializzare con altri Stati USA. Gli stessi requisiti si applicano ad altri paesi che desiderano commercializzare con gli Stati Uniti d’America. Negli Stati Uniti d’America, la classificazione delle zone di raccolta si basa sui livelli di coliformi fecali in campioni di acqua di mare. I requisiti di depurazione riportati nel NSSP sono più dettagliati rispetto alla legislazione dell’UE, con requisiti più specifici per la costruzione dei centri di depurazione, il loro funzionamento e la verifica del sistema di depurazione.

 RIMOZIONE DELLE CONTAMINAZIONI

Lo scopo primario della depurazione è la rimozione dei contaminanti microbici e questo è in gran parte raggiunto fornendo ai molluschi bivalvi le condizioni fisiologiche necessarie per la ripresa dell’attività di filtrazione e fornendo un flusso sufficiente e ininterrotto di acqua per permettere che il materiale depurato sia allontanato dai molluschi bivalvi. Tuttavia, la rimozione microbica, in particolare quella virale, non è sempre ottimale in una qualsiasi delle condizioni in cui i molluschi bivalvi riescono a filtrare. In particolare, nei climi temperati, le temperature dell’acqua necessarie per l’eliminazione dei virus sono ben al di sopra del valore minimo per l’attività di filtrazione. Inoltre, anche la rimozione di vibrioni marini non può essere raggiunta in queste condizioni e c’è il pericolo che l’innalzamento della temperatura aumenti addirittura la possibilità di proliferazione di vibrioni marini all’interno del sistema di depurazione.

EVITARE LA RICONTAMINAZIONE

Un requisito essenziale per evitare la ricontaminazione durante il processo di depurazione è l’applicazione del sistema “tutto pieno, tutto vuoto”, cioè evitare che i molluschi bivalvi siano aggiunti al sistema una volta che il ciclo di depurazione è stato avviato. Questo è necessario per prevenire che i molluschi bivalvi parzialmente depurati siano ricontaminati dal materiale espulso dai molluschi bivalvi immessi successivamente. Ciò impedisce anche che il materiale fecale sia risospeso durante l’aggiunta di ulteriori molluschi bivalvi. È necessario che l’acqua di mare sia pulita, sia quando deriva da una fonte primaria di prelievo, sia quando viene riciclata nel corso di un singolo ciclo di depurazione, o riutilizzata da un ciclo all’altro. È stato dimostrato che i batteri patogeni possono sopravvivere nelle feci e possono essere successivamente reimmessi nell’acqua di ricircolo. Ci si aspetta che la possibilità di ricontaminazione sia maggiore per i virus a causa della loro maggiore sopravvivenza in acqua di mare. Un flusso adeguato d’acqua all’interno del sistema è
necessario per garantire che le feci e le pseudofeci depurate vengano allontanate dai molluschi bivalvi. Tuttavia, soprattutto con i sistemi di ricircolo, il flusso deve consentire l’adeguato deposito del materiale depurato. Se il flusso è troppo forte il materiale verrà risospeso nell’acqua. I sistemi di disinfezione possono non essere sufficienti ad inattivare gli agenti patogeni prima che questi vengano riciclati e reingeriti. A questo proposito, il flusso di acqua deve essere in equilibrio tra quello necessario per l’adeguata filtrazione e la rimozione del materiale depurato e quello che consente il deposito dei materiali solidi. Alcuni grandi sistemi sono stati progettati con un flusso verso l’alto o verso il basso; il primo deve essere evitato, in quanto tenderà a mantenere il materiale depurato in sospensione. I sistemi di aerazione devono evitare la risospensione del materiale depurato; non dovrebbero quindi essere situati direttamente sotto, o avere impatto diretto sugli stessi molluschi bivalvi. La risospensione può verificarsi anche quando i molluschi bivalvi, o le vaschette o i cestelli in cui essi si trovano, vengono rimossi mentre l’acqua è ancora presente nel sistema. Per questo motivo lo scarico dell’acqua deve essere al di sotto dello strato più basso di molluschi.

MANTENIMENTO DELLA VITALITÀ E DELLA QUALITÀ

La vitalità e la qualità sono mantenute nei seguenti modi:
• Con la corretta manipolazione e conservazione dei molluschi bivalvi prima e dopo la depurazione, evitando urti e vibrazioni eccessive;
• Con la fornitura di un adeguato flusso di acqua e di ossigeno disciolto durante il processo di depurazione;
• Evitando le temperature troppo alte o troppo basse;
• Mantenendo ad un livello minimo, durante la depurazione, l’accumulo dei prodotti finali come l’ammoniaca.
La deposizione dei gameti nei molluschi bivalvi porta ad un loro indebolimento, di conseguenza i molluschi bivalvi che sono in questa fase non dovrebbero essere depurati. Quelli che eliminano i gameti nelle vasche dovrebbero essere riportati nelle zone di raccolta (se consentito dalle norme vigenti).

LIMITAZIONI DELLA DEPURAZIONE

La depurazione è stata sviluppata originariamente per rimuovere i contaminanti batterici dai molluschi bivalvi, principalmente la Salmonella typhi. In generale, un sistema di depurazione progettato correttamente e ben gestito permette la rimozione dei batteri indicatori di origine fecale (come l’E. coli) ed i patogeni (come la Salmonella). La depurazione si è invece dimostrata inefficace per la riduzione di alcune specie di Vibrio patogeni per l’uomo; anzi, se la salinità è ottimale (ad esempio 10-30 ppm) e la temperatura è sufficientemente elevata durante un ciclo di depurazione (ad esempio, oltre i 20 ° C) si può avere addirittura un aumento della concentrazione di vibrioni eventualmente presenti. Gli studi sull’efficacia della rimozione dei batteri durante la depurazione utilizzano molluschi bivalvi artificialmente contaminati con colture batteriche che tendono a mostrare un maggior grado di decontaminazione di quanto non avvenga nei molluschi bivalvi naturalmente contaminati. L’uso di tali contaminazioni per le indagini sui criteri di depurazione o per la convalida dell’efficacia dei sistemi commerciali è quindi discutibile.
Alcune ricerche nel nord Europa su ostriche del Pacifico (C. gigas) hanno dimostrato che durante la depurazione i virus vengono rimossi molto più lentamente di quanto avvenga con l’E. coli. Anche nei sistemi adeguatamente progettati e gestiti circa un terzo della carica virale iniziale rimarrà dopo 2 giorni di trattamento a 8°C. È vero che a temperature più elevate, ad esempio 18-21°C, i virus vengono rimossi dai molluschi bivalvi più velocemente, ma vi è comunque la possibilità che dopo 5-7 giorni di trattamento a tali temperature permangano residui virali, nonostante la contaminazione iniziale moderata. Considerato che la dose infettiva di questi patogeni virali sembri essere bassa, la depurazione non può essere considerata come il fattore primario di eliminazione del rischio, ma piuttosto come un processo che riduca in una certa misura il rischio di malattia da questi patogeni. Pertanto, è necessario ottimizzare la progettazione e la gestione dei sistemi per la depurazione anche per la rimozione di agenti patogeni e non solo per la semplice rimozione degli indicatori batterici quali l’E. coli. Non sono disponibili informazioni sulla depurazione dei virus dalle ostriche nei climi più caldi. I dati sulla depurazione dei mitili (Mytilus spp.), artificialmente contaminati con l’epatite A, indica che il periodo di depurazione necessario per la sua rimozione è anch’essa prolungata.