Movimenti bancari e conti correnti spiati da molti soggetti, segnalazioni all’Agenzia Entrate

Entro il 31 marzo di ogni anno gli intermediari finanziari(Banche, Sim, Assicurazioni etc.) hanno l’obbligo di comunicare all’Anagrafe Tributaria i dati relativi ai rapporti finanziari tenuti dai loro clienti riguardante il periodo 2017. Gli operatori finanziari inviano all’Agenzia delle Entrate i dati relativi ai rapporti finanziari intrattenuti, dagli stessi con i propri clienti nel 2017.

Come spiega l’Adnkronos, a confermare l’ipotesi allo studio è la stessa Unità di Informazione Finanziaria (UIF), la task force anti-riciclaggio di Bankitalia. “Il sistema di rilevazione sarà completato entro quest’anno. Le segnalazioni, pertanto, potranno prendere avvio fra gli ultimi mesi del 2018 e l’inizio del 2019”, fanno sapere.

All’agenzia hanno spiegato che sono già iniziati “i lavori per richiedere a banche, istituti di pagamento e istituti di moneta elettronica la segnalazione mensile delle transazioni in contante per le quali non sussistano ulteriori specifici elementi di sospetto”. La novità è stata introdotta dal decreto legislativo 90/2017 per le norme anti-riciclaggio. “Nei prossimi giorni saranno avviati i confronti con gli operatori sulle forme e modalità di segnalazione”. La soglia individuata, verosimilmente, sarà “almeno in fase di avvio, superiore a quella di 3mila euro, fissata dalla legge per i trasferimenti in contante fra i privati”.

Le nuove norme sui movimenti bancari mettono in allerta il fisco e l’Agenzia delle Entrate.
Attualmente ci sono diverse situazioni dove si aprono due diversi iter con conseguenze opposti l’uno dall’altro.

Tutto questo a causa delle nuove norme sulla movimentazioni bancarie che sono diventate molto più ridotte. Per prelevare somme piccole non ci si imbatte in nessun problema, ma laddove l’importo dovesse superare il tetto di €3000, cassiere dovuto ad informare la Uif ”unità di informazione finanziaria” della banca d’Italia, notificando un potenziale rischio di attività illecite, come ad esempio il riciclo di denaro sporco.
A sua volta la Uif, laddove ci sono dei dubbi puoi informare dare la procura della Repubblica.

Dal canto suo, l’Agenzia delle Entrate si muove in parallelo, a differenza della banca d’Italia loro non hanno bisogno di alcuna segnalazione perché tutti i dati gli arrivano in modo informatico ed automatico grazie alla connessione interna tra i computer degli istituti di credito italiani e l’anagrafe tributaria.

Conti correnti controlli serrati da parte dell’Agenzia delle Entrate e Guardi di Finanza

La novità è stata voluta dal Governo con la Legge di stabilità, che ha ampliato i poteri di accertamento del Fisco. Con questa autorizzazione il Fisco avrà quindi libero accesso alla giacenza media dei nostri depositi e tutti i dati andranno nella “Superanagrafe” dei conti correnti. Saranno infatti le banche e gli uffici postali a girare i nostri dati all’Agenzia delle Entrate. Il Fisco verrà a conoscenza in tal modo dell’importo medio del conto rapportato a un anno. Il calcolo si ottiene dividendo i saldi giornalieri per 365. Adesso Il Fisco compie un notevole salto di qualità, ed i correntisti sono nel mirino dell’Agenzia, ma con l’accesso diretto alle giacenze di fatto il controllo sarà più stretta. L’analisi costante del conto sarà un’arma contro i movimenti sospetti con riempimenti e svuotamenti del conto corrente . L’obiettivo di questa operazione legata alla giacenza media, sostengono all’Agenzia dell’ Entrate, sono i controlli sull’ Isee, lo strumento di valutazione della situazione economica di coloro che richiedono prestazioni sociali agevolate (borse di studio per i figli, esenzioni sanitarie o sgravi sulle rette scolastiche). Per stanare i “furbi”, il Fisco adesso ha le carte in regola.

Negli ultimi anni grazie ad una serie di interventi, tra cui privacy, incrocio di banche dati, comunicazioni di tutte le operazioni sopra determinati importi, acquisti di prodotti di valore, analisi dei conti correnti, gli occhi del fisco possono analizzare e verificare tantissime informazioni. Ma quali sono i limiti? Cosa può non controllare?

Regole e controlli su operazioni

L’Agenzia delle Entrate può adesso analizzare i movimenti bancari grazie all’Anagrafe dei conti correnti. Vale la regola dell’inversione dell’onere della prova: significa che spetta al titolare del conto dimostrare che il denaro versato sia “pulito” ovvero frutto di attività su cui sono state regolarmente pagate le tasse al fisco. E c’è un aspetto che vale la pena evidenziare: sotto esame non c’è solo l’attività economica delle imprese, soprattutto di grandi dimensioni, ma anche dei professionisti come dimostrano i dati più recenti sulla percentuale dei controlli. Le indagini finanziarie possono essere eseguite nei confronti di tutte le persone fisiche. Se il titolare di un conto versa una somma maggiore del proprio stipendio mensile, allora il fisco può fare scattare gli accertamenti o comunque una richiesta di chiarimenti. E spetta allo stesso contribuente spiegare la provenienza di quella cifra. Stando infatti alle regole fiscali in vigore, tutti i versamenti su conti correnti sono considerati redditi imponibili. Naturalmente possono esserci valide motivazioni, come una vincita al gioco e/o il frutto di una donazione ma spetta sempre all’interessato dimostrarlo. La soluzione è indicare sempre la causale dei versamenti sul conto corrente in denaro contante.

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Attenzione alle tempistiche: l’Agenzia delle entrate può bussare alla porta e chiedere lumi sulla provenienza dei soldi fino al 31 dicembre del quinto anno successivo alla presentazione della dichiarazione dei redditi. Semaforo rosso anche per i pagamenti in contanti: non possono oltrepassare la soglia di 3.000 euro. L’alternativa è l’utilizzo di strumenti tracciabili come assegni non trasferibili, bancomat, bonifici bancari, bonifici postali, carta di credito. E sugli assegni resta fermo che tutti gli assegni bancari, postali e circolari d’importo pari o superiore a 1.000 euro devono recare l’indicazione del nome o della ragione sociale del beneficiario e la clausola di non trasferibilità. Gli assegni bancari e postali possono essere girati unicamente per l’incasso a una banca o alle Poste Italiane a prescindere dall’importo. Le banche rilasciano gli assegni muniti della clausola di non trasferibilità. Il cliente tuttavia può richiedere per iscritto il rilascio, in forma libera, di assegni circolari e di moduli di assegni bancari, da utilizzare fino a 1.000 euro, a eccezione delle ipotesi in cui beneficiarie dei titoli siano banche o le Poste. In caso di richiesta di assegni in forma libera, il richiedente deve corrispondere di 1,50 euro per ciascun modulo di assegno a titolo di imposta di bollo.
E ancora: il saldo dei libretti di deposito bancari o postali al portatore deve essere inferiore a 1.000 euro. In caso di trasferimento di libretti al portatore, indipendentemente dal saldo, il cedente è tenuto a comunicare entro 30 giorni alla banca emittente i dati identificativi del cessionario, l’accettazione e la data del trasferimento.

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In sintesi:

  • è vietato il trasferimento di denaro contante o di libretti di deposito bancari o postali al portatore o di titoli al portatore in euro o in valuta estera, effettuato a qualsiasi titolo tra soggetti diversi, quando il valore oggetto di trasferimento, è complessivamente pari o superiore a 3.000 euro;
  • gli assegni bancari e postali emessi per importi pari o superiori a 1.000 euro devono recare l’indicazione del nome o della ragione sociale del beneficiario e la clausola di non trasferibilità;
  • il saldo dei libretti di deposito bancari o postali al portatore non può essere pari o superiore a 1.000 euro.

A rischiare di più nella fase di prelievo e di versamento sul conto correnti sono gli imprenditori prima ancora che pensionati, lavoratori dipendenti, autonomi e professionisti. Stando alle regole in vigore, è vietato il trasferimento di denaro contante o di libretti di deposito bancari o postali al portatore o di titoli al portatore in euro o in valuta estera, effettuato a qualsiasi titolo tra soggetti diversi quando il valore oggetto del trasferimento è complessivamente pari o superiore a 3.000 euro. Il trasferimento è vietato anche quando è effettuato con più pagamenti inferiori alla soglia che appaiono frazionati e questo significa che in caso di prelievo, un cittadino non imprenditore può trasferirli a un’altra persona se la somma non raggiunge il tetto di 3.000 euro. Diverso è il caso degli imprenditori per i quali i prelievi in contanti superiori a 1.000 euro al giorno e a 5.000 euro al mese vanno giustificati. La ragione? Potrebbe pagare i lavoratori in nero, solo per dirne una.

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Provando a fare qualche esempio:

  • se un privato deve corrispondere 5.000 euro alla colf e vuole pagare in contanti, vengono violate le regole;
  • se una fattura di 5.000 euro viene saldata in contanti data fattura, vengono violate le regole;
  • se sull’estratto del conto corrente risulta un versamento in contanti di 4.000 euro, il professionista non è tenuto ad alcuna comunicazione in quanto è intervenuto un intermediario finanziario, ma purché non sia un’operazione ripetuta più volte.

Il riciclaggio di denaro proveniente da reato è definibile in quel complesso di operazioni necessarie per attribuire un’origine simulatamente lecita a valori patrimoniali di provenienza criminosa.

Esso si configura come un’operazione economicamente rilevante, tesa ad evitare la riconduzione di denaro, beni od altre utilità alla loro origine criminosa ed a permettere il loro inserimento nel mercato legale. In altre parole il riciclaggio di denaro di provenienza illecita si può descrivere raffigurandolo nel complesso dei meccanismi attraverso i quali il fiume delle ricchezze di origine criminale si riversa e si confonde nelle acque dell’economia lecita . Dalla predetta definizione è possibile individuare brevemente le caratteristiche “ontologiche” del fenomeno, costituite da: – l’illegalità dell’operazione, dovuta al fatto che il riciclaggio ha per oggetto proventi originati da azioni criminali o illegali. In particolare, il riciclaggio assume la particolare connotazione di attività economica criminale “autonoma” rispetto alla specifica azione criminosa o illegale da cui ha origine il flusso di proventi illeciti. Anche a livello di normativa penalistica (art. 648 bis e art. 648 ter c.p.), infatti, ad essere punite non sono mai le condotte di riciclaggio cosiddette “primarie”, vale a dire quelle realizzate dai soggetti attivi dei reati originari produttivi di ricchezza illecita, bensì soltanto condotte “secondarie” poste in essere da soggetti diversi ed estranei al delitto presupposto; – le finalità di occultamento e/o sostituzione, atteso che lo scopo principale del riciclatore è quello di nascondere l’origine illecita dei proventi e pervenire alla loro legittimazione, necessaria premessa al loro successivo reimpiego nell’economia legale.

La rilevanza economica del riciclaggio è riscontrabile non solo per la funzione di attività “produttiva” svolta nella crescita del mercato illegale, ma altresì per le profonde alterazioni provocate nei meccanismi dell’economia, incidendo in maniera negativa sul sistema della produzione e degli scambi e sul regime di libera concorrenza. Secondo la tipologia elaborata dal G.A.F.I. (Gruppo di Azione Finanziaria Internazionale) – pool di esperti creato nel corso del vertice del G7 di Parigi nel 1989, con l’incarico di elaborare una strategia globale di contrasto – il riciclaggio, indipendentemente dalle concrete tecniche utilizzate, dal punto di vista economico finanziario si articola in tre fasi fondamentali: – la fase dell’introduzione nel mercato. Questa prima fase corrisponde al “piazzamento” o “collocamento” materiale dei proventi da reato, che abitualmente (ma non sempre) sono contanti, attraverso una qualsiasi di una serie infinita di operazioni: deposito, cambio, trasferimento, acquisto di beni ed altre.

Volendo schematizzare, la fase di collocamento implica usualmente la raccolta di una certa massa di denaro o valori provenienti da reato ed il collocamento presso istituzioni o intermediari finanziari tradizionali, presso istituzioni o intermediari finanziari non tradizionali, direttamente nel mercato con l’acquisto di beni, fuori dal paese; – la fase della stratificazione. La seconda fase implica il compimento di ulteriori operazioni, di natura per lo più finanziaria, volte a separare i proventi illeciti dalla loro fonte. Attraverso l’interposizione di un complesso “strato” di operazioni finanziarie di “lavaggio”, infatti, si tende a rendere quanto più difficile possibile la ricostruzione della c.d. pista di carta (che conduce dalla ricchezza apparentemente lecita, a ritroso, passaggio dopo passaggio, sino al reato da cui trae origine) da parte delle autorità inquirenti: si tende, insomma, a rendere quanto più possibile “anonima” la ricchezza, o a creare una copertura apparentemente legittima; – la fase dell’integrazione.

La terza fase che spesso, ed impropriamente, viene definita di “impiego” delle ricchezze provenienti da reato, implica invece, più esattamente, la loro “integrazione” con le ricchezze di provenienza lecita. Non è altro che il risultato finale, lo scopo ultimo, della procedura di riciclaggio: i proventi da reato, una volta acquisita una facciata lecita, vengono reimmessi nei circuiti finanziari ordinari. In altre parole, se le operazioni di collocamento e di stratificazione hanno avuto successo, gli schemi di integrazione reimmettono i proventi “lavati” nei circuiti dell’economia, in modo tale che questo ingresso appaia frutto di un’operazione finanziaria ordinaria, con fondi di provenienza pienamente legittima. Il riciclaggio, dunque, dal punto di vista fenomenologico è un sistema complesso, un “processo” che difficilmente si riduce ad una singola operazione. Questa difficoltà è peraltro pratica, non concettuale, e discende solo dal fatto che nei paesi ad economia avanzata, a causa anche delle legislazioni antiriciclaggio, è assai improbabile che il denaro proveniente da un crimine possa ricevere una vestizione lecita tramite una sola operazione; nei paesi dell’est europeo, ad esempio, questo è possibile, in quanto i controlli sulla provenienza dei patrimoni sono pressoché inutili.

EFFETTI SULL’ECONOMIA E SULLE ATTIVITÀ PRODUTTIVE

La realtà quotidiana impone di riservare un’attenzione particolare ad una tipologia specifica di riciclaggio, e cioè quella che è alla base dell’economia della criminalità organizzata, intendendo quest’ultima tipologia come percorso obbligato e permanente di un’imprenditoria criminale, che ha ormai raggiunto dimensioni allarmanti ed è contrassegnata da livelli notevoli di organizzazione.

La stessa espressione “criminalità organizzata”, nell’accezione più ampia, può estendersi a qualsiasi organizzazione dedita alla commissione di delitti, ma, in particolare, essa tende ad individuare quelle forme più attuali e allarmanti della delinquenza associata, caratterizzata da una logica di profitto e da un assetto organizzativo particolarmente complesso e sofisticato. Allo stato attuale, l’infiltrazione della criminalità organizzata nel mondo economico ha ormai raggiunto dimensioni preoccupanti, tanto da poter parlare di “impresa mafia”, intesa come una holding che dispone di immense masse di denaro liquido, che ne fanno un’organizzazione ricca, dotata di un potere inimmaginabile, e le consentono investimenti, speculazioni e l’ingresso nel mondo economico e finanziario. Ecco il motivo per cui, in questo ambito, è quanto mai appropriata la dizione di “imprenditoria criminale”, vincolata ad una logica economica, basata su costi di gestione, costi di mantenimento e necessità di investimento, protesa verso la conquista illegale di spazi di potere economico ed in grado di inquinare, conseguenzialmente, il tessuto economico dei Paesi in cui opera. In sintesi, può dirsi che la destinazione dei profitti illecitamente acquisiti ad opera della criminalità organizzata può avere due obiettivi: – il primo è rappresentato dal c.d. autofinanziamento, destinato a sostenere le spese necessarie a tenere in vita le strutture e l’apparato criminale, costituito da uomini e mezzi; – il secondo è rappresentato dalla immissione del profitto nell’economia legale del Paese e cioè dall’investimento nei settori più disparati (immobiliare, commerciale, industriale, bancario e finanziario). La necessità di reimpiego del denaro postula l’esigenza di ripulirlo attraverso la trasformazione dei capitali illeciti in leciti, con l’interposizione di schermature idonee ad allontanare il provento dalle sue origini criminali; i c.d. sistemi di riconversione di denaro sporco oscillano da forme rudimentali, facilmente individuabili, a forme molto complesse e sofisticate, che si avvalgono spesso di apparati informatici avanzatissimi, oltre che di consulenti e professionisti assai esperti e ben introdotti.

Da ciò discende che il riciclaggio di capitali illeciti è da intendersi quale percorso obbligato e permanente delle imprenditorie criminali, al pari di momenti della produzione ed impiego degli stessi capitali illeciti, e si pone, quindi, quale snodo fondamentale del circuito criminale, che va dall’economia illecita a quella sommersa fino a quella lecita. Il riciclaggio interviene dunque sui mercati finanziari leciti, ma stravolge, ove agisce con intensità e con continuità, i parametri di riferimento e si sostituisce quale fonte alternativa di finanziamento per attività pur del tutto lecite. L’elemento inquinante sui mercati non è dato solo dal fatto che si tratti di proventi illeciti, ma dalla loro capacità di presentarsi, in specifiche situazioni critiche, quale alternativa ai canali tradizionali di finanziamento, sia per le imprese commerciali e industriali sia per il piccolo credito al consumo o, ancora peggio, sotto la forma dell’usura nelle svariate forme che essa assume.

Una riflessione sugli “effetti” del riciclaggio non può, pertanto, che prendere le mosse dai riflessi che esso ha sull’economia. Il nucleo identificativo del riciclaggio consiste nella “lecito-vestizione” dei proventi dell’economia criminale, al fine di consentirne l’impiego in forma apparentemente legittima nel mercato. Quando il flusso di denaro di provenienza illegale assurge a una misura sensibile sul piano macroeconomico è evidente che la compromissione degli interessi di “vittime” particolari, identificate nelle persone lese dal singolo episodio di reato presupposto, diviene rilevante solo come tessera di un mosaico di lesività che assume ben altri connotati complessivi. Ne deriva che il dato meramente quantitativo sulle dimensioni raggiunte dal fenomeno è la premessa essenziale per l’analisi della sua dannosità sociale. Costituendo l’“anello di congiunzione” fra l’economia criminale e l’economia legale, il circuito del riciclaggio riguarda la quasi totalità delle ricchezze, prodotte attraverso attività illecite.

Gli effetti lesivi generano subdoli guasti nei diversi livelli del mondo dell’economia, tanto che la criminalità organizzata può produrre profonde alterazioni nel mercato della libera concorrenza nella fase produttiva, interventi strumentali nella fase del collocamento e turbamento delle logiche finanziarie, con l’effetto di conquista del consenso di ceti sociali più bisognosi, attraverso una mirata politica occupazionale e di controllo delle dinamiche del territorio di riferimento, inquinando in tal modo le regole naturali dell’economia e del mercato stesso. Per una migliore comprensione degli effetti negativi che l’imprenditoria criminale apporta all’economia nazionale italiana in generale, è utile raggruppare i mercati in cui la stessa organizzazione mafiosa opera: quello del prodotto, del lavoro, dei capitali e della proprietà. Nel mercato del prodotto, l’impresa criminale può produrre alterazioni profonde della concorrenza, prevenendo l’iniziativa di imprenditori già operanti, la nascita di nuove imprese, l’entrata di imprese mafiose dall’esterno e provocando la chiusura di imprese sane. Questi obiettivi, volti alla creazione e allo sfruttamento di posizioni di monopolio, possono essere conseguiti, oltre che con l’esercizio di una forza intimidatoria diretta, anche e soprattutto, grazie alla disponibilità di illeciti mezzi finanziari, a costi largamente inferiori e in misura superiore a quelli dei concorrenti: è proprio questo secondo fattore a consentire, in generale, ad un’impresa di realizzare le azioni strategiche necessarie per esercitare una posizione dominante nel mercato. Non vi è modo, per un’impresa o esercizio commerciale che si reggono sui faticosi guadagni del proprio lavoro, o sul denaro preso a prestito

dal sistema bancario, di reggere la concorrenza con un’analoga impresa od esercizio finanziati con il fiume di denaro liquido, a costo bassissimo, che proviene dall’economia criminale (ad esempio, dallo spaccio di stupefacenti). La disponibilità di fondi “illimitati” potrà così consentire di espellere i concorrenti dal mercato attraverso l’offerta di servizi e beni, il cui costo non è sopportabile da imprese legali; lo stesso risultato può, comunque, essere ottenuto con mezzi di pressione violenti e diretti, quali attentati, incendi o minacce varie, o attraverso la corruzione o la sottomissione, mediante minaccia, di amministratori pubblici, tanto da determinare la monopolizzazione dell’assegnazione di commesse e di appalti pubblici. Queste distorsioni provocano un innalzamento dei prezzi, effetti negativi sui livelli di attività e sul benessere dei consumatori. Per quanto riguarda il mercato del lavoro, si individuano tre tipi di distorsione. La prima riguarda il fatto che l’impresa criminale, offrendo direttamente opportunità di lavoro in attività legali o direttamente nell’organizzazione, estende la rete associativa a soggetti deboli o disponibili, causando, in tal modo, una distorsione della struttura salariale, un ostacolo ad una più efficiente allocazione delle risorse umane ed un aumento del consenso attorno all’impresa criminale. La seconda distorsione deriva dal fatto che l’impresa criminale svolge spesso una funzione di supplenza dello Stato nell’attività di collocamento; anche quando tale funzione non è finalizzata al rafforzamento dell’associazione criminale, essa è necessariamente svolta con una scala e con competenze assolutamente inadeguate. Infine, il licenziamento può essere occasione di grave distorsione del mercato, se esso viene utilizzato dall’impresa criminale come strumento di punizione per ottenere uno stato di assoggettamento. L’impresa criminale ha bisogno del mercato dei capitali per svolgere tre funzioni, intrinseche nell’accumulazione di vasti patrimoni: riciclare i patrimoni, ossia dare ad essi un crisma di legalità, collocandoli in attività fuori della portata degli investigatori e realizzando un numero tale di transazioni finanziarie da recidere i legami con la loro fonte; garantire a quei patrimoni il grado di liquidità richiesta dalla conduzione di attività illegali soggette a elevata incertezza; investire i patrimoni in forma redditizia.

Conto corrente online, truffe che azzerano i conti. Come prevenire i malware

Le truffe soprattutto quelle on-line sembrano essere ormai all’ordine del giorno e arrivano davvero attraverso ogni mezzo e ogni dispositivo. Quella di cui vogliamo parlarvi oggi riguarda il conto corrente online e di una truffa che va ad azzerare il saldo in modo piuttosto semplice e veloce. Ma come è possibile prevenire queste truffe? Se si ha un conto corrente online oppure tradizionale è bene prestare attenzione nel non farsi truffare, adottando sicuramente dei piccoli accorgimenti e dei comportamenti a prescindere se il conto sia online o meno. Sembra che l’estate sia il periodo migliore per i truffatori intenzionati a svuotare il conto corrente delle vittime, che nella maggior parte dei casi sono turisti molto spesso distratti oppure inconsapevoli di essere al centro dell’interesse del truffatore.

Stando a quanto riferito da una società specializzata nella Sicurezza informata, i Trojan bancari stanno aumentando la loro crescita negli ultimi mesi con l’avvicinarsi e l’arrivo dell’estate E perché pare che in questa stagione sia più facile truffare i turisti come abbiamo detto o per distrazione o talvolta per ignoranza. Bisogna prestare Dunque particolarmente attenzione ai malware e dunque alle truffe di phishing o smishing ovvero tutte quelle truffe che possono arrivare tramite sms o email inviando nella maggior parte dei casi una comunicazione fasulla che invita le vittime a scaricare un allegato oppure accreditare su un link.

Questi nella maggior parte dei casi, trasferiscono le vittime ad una pagina clone del proprio Istituto o postale o bancario e soltanto li è chiesto di inserire i dati sensibili, ma oltre alle generalità vengono richiesti dei dati riguardanti il conto corrente postale o bancario ed è facile capire come avendo questi dati, il conto corrente può essere svuotato in modo piuttosto semplice.

Dunque è bene non assecondare questi tipi di comunicazioni Perché nella maggior parte dei casi si tratta di truffe e inoltre sarebbe meglio evitare di accedere a servizi come L’home banking o l’indirizzo email personale sfruttando le connessioni pubbliche. Negli ultimi giorni ci sono state diverse segnalazioni soprattutto inviate dal Veneto, riguardanti una falsa comunicazione da parte di Enel Energia o meglio da una società che farebbe parte del gruppo Enel è che pare inviti le vittime ad inserire i propri dati su unapagina fake creata ad hoc al fine di ottenere il rimborso. Si è trattata di una classica truffa di phishing ovvero un raggiro che è stato inviato per mail e che sollecita l’utente a inserire le proprie coordinate bancarie con il solo intento di accedere ai dati delle carte di credito per svuotare il conto.

Carte di Credito e truffe nel 2018: milioni di cittadini derubati, come difendersi

Ormai con l’era digitale le carte di credito sono diventato uno strumento diffusissimo per fare i pagamenti senza pensare ai contanti. Essendo una tecnologia digitale, bisogna stare molto attenti alle truffe che sono sempre dietro l’angolo. Ho mangiato al ristorante, ho chiesto il conto, e ora mi accingo a pagare. Quella che ho in mano è una comunissima carta di credito con tecnologia NFC, basta ad avvicinarla ad un post abilitato per effettuare la transazione senza dover inserire alcun codice. Esco dal ristorante per tornare al lavoro, ma Sfortunatamente incontro sul mio cammino un ladro di seconda generazione, avvicinando al mio portafoglio il suo cellulare è dotato di una comunissimo applicazione disponibile per tutti Nello Store, il malintenzionato 2.0 leggi i dati della mia carta e ne può predisporre per fare acquisti, con tutte quelle transizioni che non prevedono l’inserimento di un codice di sicurezza.

LE TRUFFE FINANZIARIE Le attività finanziarie offerte al pubblico sono frequentemente e facilmente soggette a fenomeni fraudolenti, genericamente definiti “truffe finanziarie”. Nell‟ampio panorama della “truffa” in senso lato, quale “imbroglio, inganno o raggiro per ricavarne illecito profitto con danno altrui”, le truffe di natura finanziaria, infatti, occupano lo spazio maggiore, come evidenziato anche dalle cronache giornalistiche di tutti i giorni. Tali condotte possono essere di vario genere, potendosi distinguere, innanzi tutto, i comportamenti illeciti messi in atto da soggetti autorizzati allo svolgimento di attività finanziaria, mediante lo sfruttamento del contatto diretto con la propria clientela, dalle condotte di soggetti non autorizzati. In questo caso, al comportamento fraudolento, si aggiunge un altro elemento: l’abusivismo finanziario. Una costante caratteristica delle truffe finanziarie è la perdita di tutto o gran parte del patrimonio investito e/o impegnato che, di norma, è difficilmente recuperabile. Molteplici invece, sono le modalità concrete con cui la truffa può essere architettata. L’astuzia e l’immaginazione dei truffatori sembra non avere limiti: ogni giorno si devono fare i conti con inganni nuovi e sempre più elaborati.

Così, accanto a truffe grossolane, individuabili con il buon senso e un po’ di attenzione, esistono truffe molto sofisticate e ben orchestrate, che possono rappresentare una grave insidia per i risparmiatori e talvolta, per l’intero sistema finanziario, così come per l‟intera cittadinanza.

ABUSIVISMO FINANZIARIO

Quando si manifesta Le truffe finanziarie diventano ancora più pericolose se vengono poste in essere da soggetti non autorizzati. A questo proposito, bisogna premettere che la prestazione di servizi d’investimento, in considerazione della delicatezza dell’attività, è una attività riservata ad operatori autorizzati, i quali devono essere costantemente vigilati ed iscritti in appositi albi pubblici, previa verifica dei necessari requisiti. Anche l’offerta di prodotti finanziari (azioni, obbligazioni, quote di fondi, ecc.) deve essere preventivamente autorizzata. Operare nel settore finanziario senza le prescritte autorizzazioni è illegittimo, a prescindere dalla circostanza che si pongano o meno in essere truffe. Ad esempio, è come guidare senza patente: si è sanzionati anche se in concreto non si commettono specifiche infrazioni alla guida. Infatti, come chi vuole guidare deve prima dimostrare di esserne in grado, allo stesso modo, chi presta o offre prodotti finanziari deve avere i requisiti e le caratteristiche per farlo in modo corretto. D’altronde, in entrambi i casi le conseguenze negative possono essere assai gravi: si può provocare un incidente o si possono “bruciare” i risparmi di una vita. La normativa prevede tre tipologie di abusivismo finanziario: · abusiva prestazione di servizi e attività di investimento: · è lo svolgimento di attività riservate (es. collocamento di strumenti finanziari, gestione di portafogli, negoziazione di strumenti finanziari o valute, consulenza per investimenti ecc.) in assenza delle autorizzazione rilasciate dalle Autorità competenti; · svolgimento abusivo dell’attività di promotore finanziario (e dell’offerta fuori sede): è l’esercizio professionale, da parte di una persona non iscritta all’Albo dei promotori finanziari, dell’offerta fuori sede (ad esempio a casa dei clienti) come agente, dipendente o mandatario di un intermediario; · offerta abusiva di prodotti finanziari e attività pubblicitaria relativa all’offerta al pubblico: si ha quando viene posta in essere o pubblicizzata un’offerta di prodotti finanziari (es. azioni, obbligazioni, contratti derivati, fondi comuni d’investimento, polizze assicurative a carattere finanziario, ecc.) senza la pubblicazione e il deposito presso la CONSOB o altra Autorità di un prospetto informativo, laddove la legge lo preveda. Questi casi di abusivismo, nella realtà di tutti i giorni, sono più frequenti di quello che possa sembrare. Ciò è anche dovuto alla recente larghissima diffusione di internet (comportando il  moltiplicarsi delle possibilità di contatto e, quindi, anche di pubblicizzare, proporre e concludere investimenti attraverso siti web o e-mail), che ha mutato l’abitudine degli investitori. Oggi, con sempre più frequenza, si concludono operazioni su strumenti finanziari via internet; purtroppo, però, tra di esse si possono nascondere attività illecite. Si pensi, infatti, che i due terzi delle ipotesi di abusivismo sottoposte all’attenzione della Co.N.So.B. (Commissione Nazionale per le Società e la Borsa) riguardano attività poste in essere tramite il web.

Come riconoscerlo

Quando si naviga in internet – considerata la facilità con la quale è possibile essere contatti ed “allettati” con promesse di lauti rendimenti attraverso e-mail o messaggi pubblicitari che appaiono durante la navigazione (banner, pop-up) – è importante essere diffidenti. Anche se abbiamo intenzione di investire solo piccole somme di denaro o di “provare solo per una volta” a vedere come funziona una delle numerose piattaforme per il “trading on line” disponibili su internet, dobbiamo prestare la massima attenzione, perché non sempre è facile tornare indietro e recuperare i soldi investiti. Ci sono dei campanelli di allarme che possono farci pensare che chi ci propone l’investimento non sia autorizzato. ü Difficoltà nell’identificare la società di riferimento. Una società seria e con una buona reputazione non ha motivo di nascondersi, né di non comunicare da quale Autorità è stata autorizzata. D’altronde, come quando si compra un oggetto, la prima richiesta che poniamo al negoziante è “di che marca è”?. Quando navighiamo in un sito internet che propone investimenti dobbiamo chiederci: chi gestisce la piattaforma? …da chi è stato autorizzato? Conoscere la vera ed esatta denominazione della società che propone l’investimento è la prima cautela da adottare, perché solo così possiamo verificare se la stessa sia  presente negli albi dei soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi d’investimenti dalla Co.N.So.B. o da altre Autorità. Tuttavia, non sempre è semplice individuare il vero nome delle società che operano via internet, in quanto, di solito, usano marchi commerciali diversi dalla loro denominazione. È possibile, ad esempio, che il sito www.investirenelrispettodelleregole.com sia di proprietà della società “Regole ltd”; quindi, andando a consultare l’elenco Co.N.So.B. delle imprese autorizzate a prestare servizi d’investimento in Italia, non troverò alcuna società con tale denominazione, ma troverò, ad esempio, “Investire nel rispetto delle regole”. Non per questo si tratta di un’iniziativa abusiva; è solo che dovevo cercare la società Regole ltd. Come fare allora a conoscere la reale denominazione? Nei siti internet, questa informazione si trova a volte sulla stessa home-page (spesso in fondo alla pagina) ma, più di frequente, sulla pagina “chi siamo” o “contatti” o ancora nella documentazione contrattuale sotto la sezione “termini e condizioni”. Comunque, non fidiamoci mai completamente di quanto riportato sul sito internet della società. In particolare, il riferimento alla circostanza che “il soggetto è vigilato da un’autorità pubblica” (magari con un link alla stessa autorità), non è detto che sia vero: il controllo va sempre fatto direttamente sul sito della Co.N.So.B. o della Banca d’Italia. Se la società non è presente sul sito della Co.N.So.B. fra le imprese autorizzate (o sugli elenchi della Banca d’Italia), non bisogna assolutamente investire. D’altronde, prendereste mai un aereo guidato da un pilota senza licenza?

UnaSede sociale dell’impresa che propone investimenti in paradisi fiscali, posti esotici o presso indirizzi di comodo. E’ molto importante, prima di investire, individuare la nazionalità di chi propone investimenti. Anche se il sito è tutto in italiano e anche chi vi propone e segue gli investimenti parla italiano, non è assolutamente detto che la società abbia la sede nel nostro Paese. Potreste scoprire solo dopo aver investito, che l’impresa ha sede in qualche isola sperduta, di cui neanche conoscevate l’esistenza, oppure che si trova in qualche posto molto più vicino, come può essere anche la Svizzera o il Liechtenstein, ma che non fa parte dell’Unione Europea. Tenete a mente, che nessuna società extra-comunitaria è oggi autorizzata a prestare servizi d’investimenti in Italia. Ciò vuol dire, che se una società svizzera, australiana, americana o di qualsiasi altro paese extracomunitario, offre servizi d’investimento nel nostro Paese, lo sta facendo senza autorizzazione. Ma anche se la società ha sede all’interno dell’Unione Europea, dovete stare attenti e verificare che l’autorità di quel Paese la abbia effettivamente autorizzata a prestare servizi d’investimenti (e che sia anche abilitata a prestarli in Italia).

Promessa di rendimenti molto più alti di quelli presenti sul mercato. Nessuno dà nulla per nulla! Bisogna diffidare, quindi, di proposte di investimento che assicurano un rendimento molto alto e non in linea con quelli di mercato. Alla promessa di alti rendimenti corrispondono di regola rischi molto elevati o, in alcuni casi, addirittura tentativi di truffa. A volte, si fa credere che operare su piattaforme di trading possa addirittura assicurare un “secondo reddito” o che si possa diventare ricchi rapidamente, se si è abili e intelligenti. Spesso capita che su questi siti vengano riportate le testimonianze di sedicenti trader, che in poco tempo hanno dato “una svolta” alla loro vita”. Ciò che invece si omette di dire è la cosa più importante, ossia, che è molto più probabile perdere velocemente tutto quanto investito e che tanta gente si è purtroppo rovinata, perdendo i risparmi di una vita con le società abusive che operano via internet. ü Tecniche di incentivo all’investimento e ricorrenti guadagni iniziali. Ciò che interessa davvero alle società abusive è farvi entrare nella loro “rete”, perché quando si è già clienti e si ha dimestichezza con la piattaforma è difficile tornare indietro e si è portati ad investire sempre nuove somme. Non a caso, queste società sono molto prodighe nell’offrire bonus o incentivi vari di benvenuto. Solitamente, si invitano i futuri clienti solo a “provare” la piattaforma, dicendo che si possono investire anche piccole somme nella disponibilità di tutti. I racconti dei clienti truffati sono sempre quasi tutti uguali. Si investe all’inizio solo per provare, ingolositi soprattutto dai “bonus” apparentemente vantaggiosissimi, visto che sembra che la società ti regali dei soldi da investire. Successivamente, senza grande sforzo, si inizia da subito a guadagnare e quando si pensa di essere diventati abili trader e di aver trovato un modo rapido per “arrotondare” lo stipendio, si fa il grande errore di investire somme sempre più importanti, anche spinti dai referenti della società, che sollecitano il raggiungimento di risultati ancora migliori. A questo punto, rapidamente si iniziano a manifestare le perdite e spinti dall’emotività, si è portati ad investire nuove somme nel tentativo di recuperare ma, di norma, si perde tutto quello che si è investito.

In alcuni casi, in modo ancor più ingannevole, la società ti fa credere apparentemente di continuare sempre a guadagnare ma, in realtà, il guadagno è solo virtuale, perché quando si vuole disinvestire le somme non vengono mai restituite. ü Modalità con cui si è stati contattati (cold calling, invio di link per mezzo di e-mail, banner, ecc.) Gli operatori abusivi e truffaldini sono molto abili e convincenti nel procacciare la clientela; bisogna quindi essere davvero molto attenti. Una delle modalità di contatto ancora preferita è quella telefonica, che è particolarmente insidiosa, in quanto il malcapitato viene preso alla sprovvista ed è naturalmente portato a non meditare con la dovuta attenzione su quello che va a fare. Tra l’altro, i sedicenti referenti delle società, si pongono quasi sempre in modo molto cortese, dando l’impressione di essere particolarmente competenti nella materia finanziaria, in modo da ingenerare istantanea fiducia nei futuri clienti. Altre modalità di contatto sempre più diffuse sono l’invio di e-mail nelle quali si riportano i link delle imprese d’investimento, o i banner o pop up che si aprono durante la navigazione. Può capitare che i banner e i pop up compaiano durante la navigazione su siti da noi ritenuti seri e affidabili, ma ciò non vuol dire che lo siano altrettanto le società pubblicizzate. Considerate, che spesso non vi è alcun rapporto tra sito ospitante e la società che si pubblicizza. Altra forma classica di contatto è il passaparola, che oggi, all’epoca di internet, può anche manifestarsi per mezzo dei “forum di finanza” nei quali, tra l’altro, a volte si nascondono persone riconducibili alle società abusive in cerca di nuovi clienti.

Che cos’è una carta di credito? Con le carte di credito è possibile acquistare merci e servizi senza contanti e pagarli successivamente, anche a rate, con una fattura collettiva. Il presupposto essenziale è che l’acquirente sia affiliato a un circuito di carte di credito (ad es. American Express, MasterCard o Visa). La carta consente di identificare l’acquirente (tramite nome e firma o codice NIP) e di imputargli i relativi crediti all’interno dell’organizzazione della carta (mediante numero di carta di credito). Le molteplici esigenze dei clienti richiedono la creazione di prodotti diversi. Sul mercato sono pertanto presenti carte diverse, con differenze anche sostanziali e che, a seconda delle esigenze del cliente, presentano altri vantaggi. Carte di credito e carte charge Il titolare di una carta di credito può effettuare pagamenti senza contanti o prelevare denaro contante presso i partner convenzionati in qualsiasi momento e in tutto il mondo, entro un limite di spesa definito. Il pagamento avviene solo in un momento successivo ed eventualmente a rate, quindi al titolare della carta di credito viene concesso un credito. I principali circuiti di carte di credito sono MasterCard e Visa. La carta charge non prevede né un’opzione di credito/conteggio né garantisce una tale opzione tramite un conto bancario collegato. Le carte charge sono prodotti Premium e non sono soggette a un limite di spesa predefinito. Nel linguaggio comune si parla comunque di “carte di credito”, perché diversamente dal pagamento in contanti, sussiste comunque un credito almeno fino alla scadenza. I circuiti di carte charge più noti sono American Express e Diners Club. Differenza tra carte semplici e carte Premium Le carte semplici non prevedono funzionalità supplementari, o solo in misura ridotta, e sono particolarmente economiche o addirittura senza tassa annua. Le carte semplici più importanti sono Coop SUPERCARDplus ed M-Budget MasterCard. A queste si contrappongono i prodotti Premium, che offrono, oltre alla funzione di base come mezzo di pagamento, numerosi vantaggi aggiuntivi come offerte lifestyle, assicurazioni, servizi di assistenza e programmi a punti. Il precursore in questo settore è stata American Express con le carte Centurion e Platinum. I prezzi, le caratteristiche dei prodotti e i servizi supplementari vengono definiti da Swisscard e da altri emittenti. Pertanto le carte dello stesso marchio presentano profili abbastanza diversi in un Paese a seconda dell’emittente ma restano comunque internazionali: le carte Visa non sono tutte uguali!

Carte private e carte aziendali Le carte private sono rivolte a persone che utilizzano la carta per pagare le proprie spese personali. Sul mercato sono disponibili vari tipi di carte di credito contenenti pacchetti di servizi differenti che rispondono alle singole esigenze dei clienti. Le carte aziendali sono prodotti specifici per le aziende che desiderano fornirle al loro personale sempre in viaggio. Hanno funzioni supplementari specifiche, in particolare nell’ambito della Management Information per il controllo delle spese. Le carte aziendali si possono suddividere in carte Business e Corporate. Mentre le carte Business sono concepite per le piccole e medie imprese (PMI), le carte Corporate si orientano verso aziende di grandi dimensioni attive a livello nazionali e internazionale e sono strutturate come sistemi di gestione delle spese. Carte principali o carte supplementari I titolari delle carte principali hanno la possibilità di richiedere carte supplementari e a seconda del tipo di prodotto possono beneficiarne una o più persone. Le carte supplementari offrono le stesse prestazioni della carta principale: ad esempio i punti per i programmi bonus possono essere raccolti anche con la carta supplementare e ogni carta dispone di un numero proprio (per il prelevamento di contanti è fornito un codice NIP per ciascuna). Le carte supplementari vengono offerte a un prezzo particolarmente conveniente oppure senza costi aggiuntivi. Solitamente le spese della carta principale e di quella supplementare vengono addebitate in un’unica fattura, inviata al titolare principale della carta, che quindi è in linea di massima responsabile del pagamento. Members only Le carte co-branding vengono emesse dall’emittente in collaborazione con un’altra azienda oppure con un’associazione e pertanto recano anche il logo di quest’ultima. Solitamente queste carte offrono maggiori servizi e agevolazioni ma sono, per contro, correlate a condizioni speciali come ad esempio una relazione di clientela oppure l’appartenenza all’associazione (ad es. Miles & More).

I vantaggi della carta di credito per il titolare: – pagamento senza contanti e prelevamento di denaro contante in tutto il mondo; – valute straniere all’occorrenza e senza bisogno di riconvertirle; – vantaggio in termini di interessi grazie alla fatturazione posticipata; – opzione di pagamento rateale possibile (tranne che per le carte charge); – riepilogo e controllo grazie alla fattura mensile; – prenotazioni garantite e condizioni speciali a seconda del prodotto (noleggio vetture, alberghi ecc.); – tutela assicurativa e assistenza in viaggio (tranne che per le carte semplici); – nessuna responsabilità personale, o solo in misura limitata, in caso di furto o abuso se sono stati rispettati gli obblighi di diligenza; – sostituzione in caso di perdita, solitamente entro 48 ore; – agevolazioni tramite programmi di raccolta punti; – assistenza con servizio clienti 24 ore su 24 e messa a disposizione di contante d’emergenza. per il rivenditore: – garanzia di pagamento; – spese e costi degli interessi decadono all’incasso della fattura; – meno denaro contante in cassa = meno spese sostenute + minori rischi di sicurezza; – maggiore soddisfazione del cliente grazie al comfort di pagamento e alla sicurezza; – apertura a nuovi segmenti dei clienti; – più vendite spontanee e supplementari; – soluzione sicura e confortevole per gli acquisti a distanza (acquisti per corrispondenza o su internet); – partecipazione a promozioni e programmi di marketing locali o internazionali.

Chi paga cosa? La tassa annua viene corrisposta in anticipo dal titolare della carta. Questa consente, tra le altre cose, di coprire le spese amministrative e informatiche, le prestazioni di servizio e i rischi di assicurazione e di finanziare i programmi bonus. I clienti che utilizzano maggiormente la carta spesso ottengono come riconoscimento un’esenzione (parziale) della tassa annua (automaticamente o mediante punti bonus). Non è dovuta alcuna tassa annua per i tipi di carte di credito che praticamente non offrono alcun servizio supplementare, mentre per gli emittenti delle carte e le aziende co-branding vengono concordate partnership speciali. Come funzione supplementare, le carte di credito consentono anche il prelevamento di contanti presso i distributori automatici. Per via dei costi che ne derivano, per i prelevamenti di contante vengono solitamente addebitate delle commissioni aggiuntive in fattura. I rivenditori corrispondono all’acquirer una commissione su tutte le transazioni effettuate con carte di credito. Questa copre, tra le altre cose, le spese amministrative e informatiche nonché i costi per autorizzazione, cash management, ordine di pagamento e garanzia di pagamento. In particolare l’acquirer o l’emittente delle carte si assume il rischio in caso di frodi connesse alle carte di credito oppure insolvenza o mancato pagamento da parte del titolare della carta di credito. Le commissioni dipendono solitamente dal fatturato e variano a seconda del fatturato annuo e del settore di attività.

Titolare della carta I titolari delle carte di credito sono persone che hanno stipulato un contratto con l’emittente della carta di credito (anche detto issuer) e che ricevono una carta a loro intestata. Rivenditore I rivenditori (anche detti merchant, partner convenzionati o partner commerciali) sono aziende che hanno stipulato un contratto con l’acquirer (vedere sotto) e che accettano le carte dei rispettivi marchi come mezzi di pagamento presso i loro punti vendita e segnalandolo ai titolari delle carte con logo in prossimità della cassa o all’entrata. Acquirer Gli acquirer, in qualità di banche con cui gli esercenti hanno stipulato il contratto, inseriscono questi ultimi in una rete di carte internazionale e sono responsabili della loro assistenza. Gli acquirer principali in Svizzera sono Swisscard AECS AG (American Express), Aduno (Visa, MasterCard) e Telekurs Multipay (MasterCard, Visa).

Emittenti Gli emittenti delle carte sono i soggetti che emettono carte di credito di un determinato marchio. Solitamente gli emittenti dispongono di una licenza nazionale per l’emissione di carte di un marchio. In Svizzera i principali emittenti di carte sono: Credit Suisse AG/Swisscard AECS AG, Cornèr Bank, UBS, Viseca. Rete di carte di credito Le reti di carte di credito attive in tutto il mondo si occupano di trasmettere transazioni dall’acquirer al rispettivo emittente. L’accredito della transazione dall’emittente all’acquirer avviene sempre tramite la rete di carte di credito. Ciò che avreste sempre voluto sapere Limite di spesa L’emittente della carta di credito definisce l’importo massimo mensile disponibile per le transazioni con la carta, basandosi sulle esigenze e sulla capacità di rischio del titolare della carta. Attenzione: talvolta vengono detratti (non addebitati) anche importi che non sono stati effettivamente spesi ma che tuttavia sono stati “prenotati” da un partner convenzionato (ad es. al check-in degli hotel o alla consegna di veicoli noleggiati). Se tutte le fatture sono state pagate, il limite di spesa viene ripristinato ogni mese al valore iniziale. Invece le schede di addebito solitamente non prevedono alcun limite di spesa prefissato. Verifica della solvibilità Prima dell’emissione di una carta di credito, l’emittente verifica la solvibilità del richiedente, per evitare rischi di credito, anche nell’interesse della tutela del consumatore, degli altri titolari e dell’azienda, che potrebbero causare un indebitamento non sostenibile. Il richiedente compila la domanda di carta di credito fornendo le informazioni necessarie e acconsente a ulteriori ricerche (ad es. presso la Centrale per l’informazione sui crediti, ZEK). In media vengono rifiutate dal 20% al 30% delle richieste. Per quanto concerne le richieste di carte di credito rateale, dal 2003 le organizzazioni di carte di credito sono tenute per legge a verificare la capacità di credito del richiedente mediante consultazione presso la Centrale di informazione per il credito al consumo (IKO). [/read]